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L’arresto di Cecilia Sala e il possibile legame con il fermo di Mohammad Abedini a Malpensa

cecilia sala

Non ci sono ancora accuse formali a carico di Cecilia Sala, giornalista italiana arrestata in Iran il 19 dicembre. Lo ha confermato poco fa il ministro degli esteri Tajani.

Tajani:”Stiamo lavorando e facendo tutto il possibile. Non possiamo prevedere i tempi, anche se spero siano brevi, ma purtroppo non dipende da noi. Al momento non abbiamo ancora i capi d’accusa, perché l’avvocato non ha potuto effettuare la visita in carcere. Speriamo che possa farla nei prossimi giorni e ottenere al più presto capi di imputazione precisi.”

La trattativa per la sua liberazione è in corso con il governo italiano, come ha confermato il ministro degli Esteri. Su cosa verta la trattativa esattamente non si sa. Un’ipotesi è che l’arresto di Cecilia Sala sia legato all’arresto avvenuto a Milano su ordine della magistratura statunitense di un iraniano ritenuto sostenitore dei pasdaran, tramite le forniture di droni che violano l’embargo verso il regime di Teheran.  L’ipotesi è che l’arresto di Cecilia Sala serva a far pressione su Roma. Questo Tajani non lo ha detto, comprensibilmente, ma ha confermato la circostanza

Tajani: “Un cittadino svizzero-iraniano è stato arrestato a Malpensa, prima del caso di Cecilia Sala a Teheran, in seguito a un mandato di cattura internazionale emesso dagli Stati Uniti. Essendo ancora in attesa di giudizio, il detenuto è trattato nel pieno rispetto delle garanzie previste per chi non è stato condannato. Ha ricevuto una visita consolare e il suo avvocato ha potuto prendere visione dei capi d’accusa, che derivano dal mandato internazionale. L’arresto, avvenuto in Italia, è una conseguenza diretta di quel mandato e non una scelta autonoma del nostro Paese”.

L’uomo ora è in carcere in Italia in attesa della richiesta di estradizione degli Stati Uniti a cui il governo italiano dovrà dare risposta.

(di Farian Sabahi)

Cecilia Sala è diventata, suo malgrado, una pedina in un gioco più grande di lei. Sono 44 anni, dalla presa degli ostaggi nell’ambasciata americana a Teheran, che la Repubblica Islamica mette in atto la diplomazia degli ostaggi. Prende in ostaggio cittadini stranieri oppure iraniani con un secondo passaporto occidentale e poi cerca di scambiarli. Nel caso di due cittadini irano-americani, questi avevano ritrovato la libertà dopo anni, quando gli Stati Uniti avevano scongelato i fondi trattenuti in una banca sudcoreana a causa delle sanzioni internazionali.

Il caso di Cecilia Sala sembra intrecciato a quello di Mohammad Abedini Najafabad, accusato dal tribunale di Boston di associazione a delinquere finalizzata alla violazione degli International Economic Powers Acts e di fornitura di supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera. Cittadino iraniano e svizzero, Abedini avrebbe creato in Svizzera una società di comodo attraverso cui sarebbero transitati i droni usati dai Pasdaran. Abedini è stato fermato dalla polizia di frontiera all’aeroporto di Malpensa il 16 dicembre: arrivava da Samuele. Ora è in stato di fermo a Busto Arsizio, in attesa di essere estradato negli Stati Uniti.

Per la diplomazia italiana la partita è quindi doppia: per liberare Cecilia Sala bisognerà trattare con Teheran, ma forse anche con Washington, perché verosimilmente la magistratura iraniana potrebbe chiedere uno scambio di prigionieri.

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