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Marta Lempart è la leader di Ogólnopolski Strajk Kobiet, il movimento che negli ultimi anni ha fatto scendere in piazza centinaia di migliaia di donne polacche in tutto il Paese per protestare contro le decisioni del governo in materia di aborto. Lempart è anche stata una delle prime attiviste ad aver contestato l’ordinanza firmata il 3 giugno dal ministro della salute polacco Adam Niedzielski che autorizza l’inserimento nel database nazionale del ministero di informazioni relative alle gravidanze delle pazienti.
La decisione del ministero creerà una situazione dove l’aborto, che sia spontaneo o procurato, verrà criminalizzato. Questa è la strada che il Governo ha deciso di intraprendere, fingendo di rispettare la direttiva europea sulla digitalizzazione: cambiare la situazione pratica senza cambiare la legge. Stiamo parlando di donne che, dopo aver avuto un aborto spontaneo o dopo aver deciso di abortire saranno, forse non indagate, ma sicuramente interrogate dalla polizia o dalla procura dello Stato. Anche se procurarsi un aborto o andare all’estero per abortire è legale in Polonia. La situazione è davvero molto, molto difficile soprattutto perché il data base nazionale del ministero della salute in Polonia non è sicuro e perché, anche il ministero continua a negarlo, verrà dato sicuramente alla polizia e alla procura.
Per darci un’idea di come funzioni la protezione dei dati sanitari in Polonia, Lempart ha raccontato di essere risultata positiva al Covid nel 2020. La notizia era stata data anche dalla televisione di Stato, prima ancora che Lempart conoscesse l’esito del suo tampone.
Non è legale ma noi non viviamo in uno stato democratico. Ogni database è usato politicamente contro donne, attiviste e attivisti, minoranze. È successo prima e continua a succedere ogni giorno. I dati delle donne che decidono di abortire legalmente nelle cliniche vengono costantemente fatti trapelare alle organizzazioni pro-life e ai media nazionali. E sono gli ospedali che diffondono questi dati ai gruppi di fondamentalisti.
Nel Paese l’aborto è legale nel caso in cui la gravidanza sia un rischio per la salute o la vita della partoriente, così come in caso di stupro o incesto. Fino al 2020, quando la Corte Suprema polacca ha deciso di vietarlo, era consentito anche nel caso in cui il feto mostrasse gravi malformazioni congenite. Questo è quello che stabilisce la legge ma, come ci racconta Lempart, la realtà è ben diversa.
I pubblici ministeri non hanno una scadenza per approvare la documentazione richiesta per avere un aborto in caso di stupro o incesto e spesso lo fanno quando è scaduto il limite di tempo consentito dalla legge. Nel caso in cui vi siano gravi rischi per la salute e la vita della gestante, abbiamo avuto diversi casi in cui queste sono morte perché negli ospedali polacchi il feto è sempre considerato più importante della donna. Interrompere una gravidanza, anche facendolo all’estero, è legale. Aiutare qualcuno ad abortire invece è illegale, ma rischiamo di assistere a un’ondata di persecuzioni contro le donne che hanno aborti spontanei o decidono di abortire, anche se tutto ciò è legale.
Vittime delle restrizioni del governo polacco in materia di aborto sono state anche le donne ucraine che hanno denunciato violenze appena arrivate nel Paese. Anche a loro è stato richiesto di produrre i documenti utili per avere l’autorizzazione a procedere con l’interruzione di gravidanza. Documentazione che, ovviamente, arriva oltre il limite consentito dalla legge per avere accesso all’aborto. Lempart e le altre attiviste però non hanno intenzione di fermarsi. Il fulmine rosso, simbolo delle femministe polacche, continuerà a brillare.
Nonostante tutto, il 22 giugno presenterò una proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare l’aborto in Polonia. Abbiamo raccolto 200.000 firme. Spero che saremo in grado di gestire quello che ci aspetta.