All’estero la chiamano la “Ferrante fever”, e così s’intitolava un documentario a riguardo di qualche anno fa: l’autrice napoletana Elena Ferrante che pubblica sotto pseudonimo e conserva gelosamente nella segretezza la propria identità anagrafica è stata scoperta dai lettori anglofoni nel 2012, con la traduzione di Ann Goldstein di L’amica geniale, e da quel momento i suoi romanzi, in particolare la tetralogia ribattezzata The Neapolitan Novels, sono diventati tra i libri italiani più letti all’estero.
La trasposizione seriale di L’amica geniale, che da noi va in onda su Rai1 ma negli Stati Uniti su HBO, e di cui è in lavorazione la quarta e ultima stagione tratta da La storia della bambina perduta, è considerata dai critici angloamericani tra le migliori serie degli ultimi anni; l’attrice Maggie Gyllenhaal ha scelto di esordire alla regia adattando a film La figlia oscura, un altro romanzo di Ferrante, precedente a L’amica geniale, assoldando l’attrice premio Oscar Olivia Colman, vincendo il premio per la miglior sceneggiatura a Venezia 2021 e guadagnando tre nomination agli Oscar.
I precedenti romanzi di Ferrante (che ha firmato anche qualche saggio, e ha tenuto a lungo una rubrica sul “Guardian”) erano già diventati film: l’esordio L’amore molesto nel 1995, firmato da Mario Martone, e apprezzatissimo; I giorni dell’abbandono nel 2005, realizzato da Roberto Faenza e accolto molto meno positivamente. L’unico suo testo narrativo che ancora non era diventato un film o una serie tv era anche il primo pubblicato dopo l’esplosione del fenomeno L’amica geniale, e cioè La vita bugiarda degli adulti. A colmare la lacuna ci ha pensato Netflix, con un’operazione che, almeno nei suoi aspetti produttivi, non nasconde la volontà di cavalcare il successo internazionale e già consolidato del nome “Elena Ferrante”: per scrivere la sceneggiatura ha assoldato lo stesso team della serie L’amica geniale, cioè la stessa Ferrante e gli autori Francesco Piccolo e Laura Paolucci.
La differenza la fa la regia, in L’amica geniale coordinata prima da Saverio Costanzo e poi da Daniele Luchetti (con un’incursione più che benvenuta di Alice Rohrwacher), in La vita bugiarda degli adulti affidata a Edoardo De Angelis, cineasta partenopeo molto apprezzato per i suoi film dalla carica immaginifica Indivisibili e Il vizio della speranza (in cui recita la moglie Pina Turco, che ritroviamo anche nella serie ferrantiana), ma anche per i tv movie tratti da Eduardo De Filippo Natale in casa Cupiello e Sabato, domenica e lunedì.
In La vita bugiarda degli adulti torna anche un interprete di L’amica geniale, Giovanni Buselli. Se il casting di L’amica geniale aveva lavorato per scovare volti nuovi e sconosciuti, quello di La vita bugiarda degli adulti affianca all’esordiente Giordana Marengo due nomi notissimi, Alessandro Preziosi e, soprattutto, Valeria Golino. Insomma, la volontà di approfittare della “Ferrante fever” è evidente, e i romanzi di partenza qualche cosa in comune ce l’hanno: sono storie di formazione e ritratti sfaccettati di protagoniste imprendibili, integrano la geografia di Napoli nel tessuto del racconto, le questioni di classe hanno un’importanza cruciale nel definire i caratteri e i rapporti di forza tra i personaggi. Sono anche molto diversi, però, a cominciare dalla lunghezza e dal relativo approfondimento: la quadrilogia di L’amica geniale è un racconto storico che ripercorre insieme alla crescita delle sue protagoniste la storia d’Italia, dal Dopoguerra fino ai giorni nostri, mentre La vita bugiarda degli adulti si concentra su un paio d’anni, nella Napoli dei primi anni 90, e sui relativamente pochi legami familiari della protagonista Giovanna.
La serie segue il suo passaggio dall’infanzia all’adolescenza, schiacciato tra due figure agli antipodi: il padre Andrea, professore universitario con grande casa nel quartiere borghese del Vomero ed esplicite idee comuniste, e la zia Vittoria, che vive in un quartiere povero, è impetuosa, insieme affettuosa e aggressiva, cattolicissima ma disinibita. Per crescere davvero Giovanna deve imparare prima a vedere le bugie che i grandi scelgono di costruire e abitare, e poi imparare a esser bugiarda a sua volta. De Angelis fa del suo meglio per tramutare in immagini lo spirito ferrantiano, e Golino offre una performance di grande livello; qualche dubbio resta sulla trama esile, quasi evanescente, forse non abbastanza solida per riempire sei episodi. Anche perché forse, checché se ne dica, la Ferrante fever non è una formula facile da distillare in laboratorio.