
Dieci anni dopo averla lanciata, la Turchia di Erdogan abbandona la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Ankara lascia Istanbul. L’austera capitale centro del potere turco si ritira da quanto sottoscritto, e per prima, nella città dall’umore opposto, quella capitale morale simbolo della Turchia più aperta e tollerante. Si stava nel 2011 e quello che governava il paese era un Erdoğan diverso da quello attuale: voglioso di entrare in Europa, aveva dato il via a una serie di aperture sui diritti civili e quelli delle minoranze. Ma crisi economica, rivolte di Gezi Park, mancato riscontro elettorale del dialogo con i curdi, fra le altre cose, gli hanno fatto cambiare idea e ora è rivolgendosi alla Turchia più conservatrice che punta a mantenere il suo potere.
Poco importa che in Turchia, secondo l’OMS, il 38% delle donne siano soggette a una qualche forma di violenza , quando la media europea è del 25%, e che nei soli nei prime due mesi del 2021 , secondo i costanti report dal portale di informazione indipendente Bianet, 55 donne siano state uccise da uomini. Ma secondo il Governo turco la tutela dei diritti e della sicurezza delle donne minerebbe l’unità della famiglia, incoraggerebbe la pratica del divorzio dando spazio alle rivendicazioni del fronte lgbtq, che in Turchia è particolarmente attivo e vivace, come anche quello delle donne, che dopo essere scese in piazza in massa l’8 marzo nonostante i divieti ed essersi prese la consueta dose di lacrimogeni e manganellate, ci sono tornate a meno di 24 ore dalla emissione del decreto presidenziale. Così in uno dei giorni più bui della storia contemporanea turca è emersa la forza e la capillarità dei movimenti per la difesa della donna e della parità di genere del paese. Istanbul, Ankara, Smirne, Antalya, Bursa e molte altre: in tutte le province si sono svolte manifestazioni di protesta : numerose, agguerrite e compatte, con e senza velo, dalle più giovani alle più anziane, le donne turche hanno marciato sfidando ogni divieto, striscioni, cartelli e slogan erano pieni della loro rabbia e di quella determinazione che da anni le sostiene in una lotta che si fa sempre più difficile.
Ad Istanbul a migliaia si sono date appuntamento sulla sponda orientale del Bosforo, a Kadikoy, uno dei quartieri generali della Turchia laica e progressista, fin dal mattino assediato da elicotteri e forze di polizia in tenuta antisommossa, le quali hanno messo in atto il solito copione: dopo aver intimato alla folla di disperdersi, sono intervenute con la forza , chiudendo le strade laterali e bloccando i manifestanti che capitavano a tiro, svariate le persone in stato di fermo. Probabilmente nessun paese al mondo può sentirsi a posto in tema di sicurezza delle donne, ma il governo turco, con i livelli di violenza che sono raggiunti nel paese, dove almeno una volta al giorno una donna viene uccisa o subisce un’aggressione, risulta addirittura grottesco nel momento in cui afferma che a tutelare le donne ci sono già le leggi nazionali e la costituzione. Le donne turche infatti non demordono: dopo le piazze la protesta si è spostata sui social: l’invito a far sentire la propria voce dai balconi e dalle finestre è stato raccolto da ogni parte del paese e slogan come “la convenzione di Istanbul è nostra” è diventato virale.
Qualche altro nodo sta arrivando al pettine. L’abbandono della convenzione del consiglio d’Europa che difende le donne, fra l’altro con le ridicole motivazioni della sua pericolosità per la famiglia è stata una concessione di Erdogan al suo alleato alla guida del paese, lo scomodo partito ultranazionalista e conservatore MHP, senza i cui voti il governo potrebbe vacillare, soprattutto nel momento in cui ancora non si vede la luce in fondo al tunnel della crisi economica in cui la Turchia è infilata da anni. Tutti gli altri partiti, anche quelli tradizionalmente non ostili a Erdogan, si sono detti contrari all’uscita, inoltre tale atto, in quanto decreto presidenziale che annulla una decisione del parlamento, sarebbe anche in violazione della Costituzione e può essere respinto dal tribunale amministrativo.
Foto | Le proteste a Istanbul