La true crime mania e Baby Reindeer. All’inizio di Fargo – uno dei capolavori cinematografici dei fratelli Coen e la serie antologica che ne è stata tratta – appare la scritta “questa è una storia vera”; ma, come sanno gli spettatori più preparati, la dichiarazione è falsa: nessuna delle vicende messe in scena da Fargo, il film o la serie, è mai davvero accaduta, l’accento dovrebbe cadere non sull’aggettivo “vera” ma sul sostantivo “storia” che, in quanto racconto, contiene sempre una dose di immaginazione, falsificazione, artificio. Ma cominciare un film o una serie con la didascalia “tratto da una storia vera” è da sempre un richiamo irresistibile, soprattutto per i produttori e il marketing, perché il grande pubblico sembra spesso rispondere con maggior fervore alla promessa di non stare assistendo a un’invenzione narrativa ma a una riproposizione di fatti reali, soprattutto se sanguinosi e/o pruriginosi.
Negli ultimi anni l’esplosione del true crime non ha fatto che accentuare questa propensione, moltiplicando i racconti – sia in formato docuserie sia nella ricostruzione con copione e attori – di serial killer, omicidi, crimini più o meno bizzarri prelevati dai fatti di cronaca, e poi anche di truffe e imbrogli (vedi serie come Inventing Anna, sulla falsa ereditiera russa che per qualche anno ha imperversato a New York, o The Dropout, sull’aspirante miliardaria Elizabeth Holmes, o WeCrashed, sul caso WeWork), o ancora vicissitudini “troppo assurde per essere vere, eppure più vere del vero”: per esempio, il caso Tiger King di cui esistono sia una docuserie sia una versione fiction, ma l’elenco è lungo. Parallelamente, la passione per le storie criminali, per i podcast e i doc true crime, in un momento storico in cui sempre più persone sono “estremamente online” (per usare un modo di dire mutuato dall’inglese), ha concretizzato un fenomeno, quello degli investigatori del web, che in diversi casi ha assunto dimensioni e causato conseguenze imprevedibili.
È capitato più volte che detective amatoriali, partendo dal confronto di prove, teorie e indizi su internet, abbiano finito per sconfinare nelle indagini ufficiali; così come il giornalismo investigativo di documentari e podcast ha portato talvolta a riaprire casi chiusi e ribaltare sentenze (uno dei più famosi è anche uno dei primi successi true crime: The Jinx, la docuserie HBO in cui il documentarista Andrew Jarecki riusciva a catturare la confessione del ricchissimo Robert Durst, un uomo più volte indagato per omicidio ma fino a quel momento mai condannato). Il marchio “tratto da una storia vera” unito all’ossessione dei fan su internet però può essere anche un’arma a doppio taglio, o rivelare lati più che inquietanti. L’ultimo caso in ordine di tempo, ma anche uno dei più significativi, è quello di Baby Reindeer: una serie britannica, apparsa su Netflix in sordina, senza fanfare o grande promozione, lo scorso 11 aprile, e diventata nell’arco di pochi giorni il titolo più visto non solo in Regno Unito ma in diversi altri paesi, tra cui l’Italia.
Scritta e interpretata da Richard Gadd, uno sceneggiatore e comico scozzese, Baby Reindeer racconta la disturbante e surreale vicenda di Donny, un ragazzo, aspirante stand-up comedian ma impiegato in un pub londinese, che inizia a essere vittima di stalking da parte di una sconosciuta, una donna con disturbi mentali che inizia a sviluppare per lui un attaccamento morboso e presto a perseguitarlo in vari modi, dopo un breve scambio di parole gentili al bancone del bar.
La vicenda – raccontata in prima persona, anche con voce fuoricampo, dal protagonista – ha il pregio di esplorare tutte le stratificazioni di un vissuto complesso e contraddittorio, rifuggendo da semplificazioni e facili giudizi. Ma la dicitura iniziale “basato su una storia vera” è qui aumentata dal fatto che l’autore Richard Gadd è anche l’interprete protagonista, nei panni di Donny, e l’uomo a cui davvero tutto ciò è accaduto; e il grande e imprevisto successo della serie ha portato molti fan a mettere in piedi una ricerca online per scoprire chi fossero davvero sia la donna che ha perseguitato Gadd, sia l’uomo che ha abusato di lui. Finendo per “stalkerizzare” la stalker, e per abusare, con accuse infondate, persone innocenti. Sia Richard Gadd sia la bravissima attrice Jessica Gunning, che nella serie interpreta Martha, hanno diffuso appelli agli spettatori chiedendo di smettere con le investigazioni e le persecuzioni: la storia è vera, ma è appunto una storia, il cui valore sta in ciò che racconta, non nell’individuazione dei veri o presunti colpevoli. Senza sortire, a quanto pare, troppi risultati: la storia vera è sfuggita di mano.