L’ultima prova di forza di Mario Draghi nei confronti dei partiti è contenuta nel messaggio che ha fatto arrivare alla fine delle consultazioni: saranno lui e Sergio Mattarella a decidere i nomi della squadra. Articolo 92 della Costituzione.
Lo schema ora sembrerebbe chiaro: i ministeri di peso verranno affidati a tecnici. I politici di primo piano non dovrebbero entrare. Le forze politiche saranno rappresentante da seconda fila o da tecnici d’area che verranno scelti da Draghi.
I partiti sono in fibrillazione. Solo nelle ultime ore, a una settimana dall’incarico affidato dal Quirinale, hanno finalmente capito che questo sarà veramente un governo del presidente. Solo ora si sono resi conto che i rapporti di forza sono cambiati. I partiti possono suggerire delle proposte per il programma, votare la fiducia in Parlamento, ma non saranno loro a guidare la macchina.
Paradigmi decennali della politica sono stati sconvolti. In alcune segreterie c’è addirittura il panico. Perché il problema non è tanto la visibilità nell’esecutivo, ma gli equilibri dentro i partiti. La questione è che gli appetiti dei singoli e delle correnti non potranno essere soddisfatte.
Vedremo Luigi Di Maio agli Esteri? Probabilmente no. E tutti gli altri ministri dei 5 Stelle? Tornano a casa. Il PD si aspettava almeno tre poltrone pesanti nel nuovo esecutivo. Rischia di non averne alcuna. Per Zingaretti sarà un problema placare le proteste dei governisti a tutti i costi. E Italia Viva? Aveva due ministri nel Conte 2. Con Draghi è probabile che non tocchi palla. Per Renzi, non è certo un grande risultato. Per Forza Italia e Lega il problema è minore. Silvio Berlusconi avrebbe tentato di piazzare Bertolaso, ma Draghi avrebbe glissato. Al Cavaliere interessano poco le poltrone. L’importante è esserci. Per tutelare le sue aziende. Salvini invece sfrutta l’occasione per rifarsi una verginità politica. Non è obbligatorio avere un ministero per raggiungere l’obiettivo.
La chiamavano Terza Repubblica. Non è ancora finita. Almeno per loro.