Lo abbiamo già detto ma vale la pena ripeterlo. Quello che sta succedendo in Siria è qualcosa di storico. Un punto di svolta. Al momento l’evento più significativo della crisi in Medio Oriente cominciata il 7 ottobre dello scorso anno. Ma potrebbe non essere l’ultimo. Anzi, i prossimi potrebbero essere determinati proprio dal percorso che riuscirà o non riuscirà a intraprendere la Siria dopo la caduta del regime.
I ribelli che stanno prendendo il controllo del paese, almeno sulla carta, dicono di voler scrivere una pagina nuova, caratterizzata dalla convivenza pacifica tra le tante comunità, tra i tanti gruppi etnico-religiosi, anche tra le tante milizie. Nelle scorse ore, per esempio, alcuni esponenti di Hayat Tahrir al-Sham hanno incontrato dei leader locali nella provincia di Latakia, sul Mediterraneo, regione della comunità di riferimento della famiglia Assad, quella alauita. Un segnale positivo, appunto, ma solo il futuro ci dirà se agli annunci seguiranno dei fatti concreti.
Le linee di frattura tra i diversi gruppi che compongono la società siriana, accentuate all’estremo da tredici anni di guerra civile, sono tra le incognite più pericolose. Sarà possibile la convivenza? I gruppi islamisti sono veramente cambiati? Sono sinceri quando parlano di rispetto delle minoranze?
Una delle linee di frattura più profonde è quella tra arabi sunniti e curdi nel nord della Siria, lo dimostrano gli scontri armati di questi ultimi giorni, durante i quali i ribelli sponsorizzati dalla Turchia – in questo caso non Hayat Tahrir al-Sham – hanno mandato via i curdi da due località, Manbij e Tal Rifaat. Il presidente turco Erdogan ha esultato. In sostanza: i curdi, che vivono nel nord-est del paese, verranno coinvolti nel processo politico che sta per cominciare a Damasco?
Il leader dei ribelli, al-Julani, ha detto poi che i capi dei servizi di sicurezza, responsabili di ripetute violazioni dei diritti umani, verranno portati davanti alla giustizia. A parte le difficoltà nell’immaginare un sistema giudiziario in un sistema statale tutto da ricostruire, questo ci ricorda la difficoltà della riconciliazione. Chi per decenni è stato vittima di soprusi sarà in grado di non farsi trasportare dalla voglia di vendetta?
Abbiamo già citato gli attori esterni. In questi giorni sono particolarmente attivi due vicini, Turchia e Israele. Abbiamo detto del supporto di Ankara, nel nord, alle milizie che hanno attaccato i curdi. Ma non possiamo non sottolineare il grande attivismo israeliano, che da domenica continua a colpire siti militari. Israele dice di aver paura che le armi del regime vengano usate da gruppi integralisti islamici. È stato bombardato anche il porto militare di Latakia, e le truppe di terra sono entrate in territorio siriano sopra il Golan, a sud. Una pericolosa linea di frattura geopolitica potrebbe essere proprio quella tra Israele e Turchia, già piuttosto profonda a causa della guerra a Gaza. In fondo i turchi sono i più vicini, in questo momento, ai ribelli arrivati fino a Damasco, non lontano dal confine israeliano. Ecco questo aggiungerebbe ulteriore instabilità a un complicatissimo processo di costruzione di una nuova Siria. Il passato ci fornisce gli esempi della Libia – dopo la caduta di Gheddafi – e prima ancora dell’Iraq – dopo la caduta di Saddam. Ma appunto, nonostante tutte queste incognite, ci sono anche segnali positivi. Dobbiamo solo aspettare.
La svolta in Siria tra speranze e incertezze
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Autore articolo
Emanuele Valenti