Stefano Bottoni, storico dell’Accademia delle Scienze di Budapest, collaboratore di Limes, spiega a Radio Popolare la strategia europea di Viktor Orbán dopo la conferma dello spostamento a destra della più grande alleanza europea, il Partito Popolare Europeo, e la nomina a candidato della Commissione del tedesco Manfred Weber.
La strategia dei sovranisti sarà assorbita dal PPE oppure fallirà? L’intervista di Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.
Troppi sono i vantaggi per Urban di stare in un Partito Popolare Europeo, la sua casa madre da ormai quasi vent’anni, il gruppo più potente e il gruppo Parlamentare che in questi ultimi quasi dieci anni lo costantemente difeso anche a costo di subire quasi scissioni. La sua posizione, che piaccia o no, in questo momento è centrale nel dibattito. È probabile che il Partito Popolare Europeo tenterà un’apertura a destra proprio per sottrarre spazio ai movimenti populisti e sovranisti che sembrano in avanzata in diversi Paesi europei. Orban ha capito di poter diventare un pilastro di questa nuova strategia. Questo naturalmente mette i potenziali alleati – che siano Salvini o altri partiti – di fronte a una scelta: o moderare toni e politiche cercando di entrare un giorno nel PPE oppure restare, come sono oggi, ai margini della vita politica europea.
Quanto peserà ad Orban questo tentativo di spostare a destra?
È molto difficile da dire, perché le elezioni europee parlano, nella maggior parte dei Paesi e nella maggior parte dei casi, di questioni nazionali o locali. Non hanno ancora una dimensione pienamente europea. Ad esempio votiamo partiti nazionali, non votiamo a livello nazionale per il PPE o per i socialisti o per i verdi o per i populisti: votiamo per partiti che sono associati a Strasburgo e a Bruxelles a un certo gruppo politico o addirittura che non sono associati, perché ci sono partiti più o meno indipendenti, ci sono gruppi di cui non sappiamo quasi nulla. La dinamica è molto complessa, pensate soltanto ad un Paese come la Repubblica Ceca dove i partiti rappresentati in Parlamento, anche a livello europeo, potrebbero essere sei o addirittura sette in questa tornata elettorale, con nessun partito che arriva a più del 15-20% dei voti. C’è una grande frammentazione e, anche da questo punto di vista, il caso ungherese spicca: io sono pronto a scommettere che il partito di Orban prenderà il 58% dei voti e quindi porterà a Strasburgo una pattuglia di 13-14-15 deputati europei e questo trasformerà l’Ungheria nel terzo o quarto o quinto “donatore” di deputati europei a PPE. Naturalmente aumenterà ulteriormente il peso contrattuale di Orban.
Quando ne parliamo di Orban – e questo è un errore che viene fatto dalla stampa, ma anche da parte degli analisti – ci immaginiamo un politico rozzo appena entrato nelle sfere del potere. Questo invece è un finissimo democristiano che sta in politica da 30 anni, conosce a menadito i meccanismi della politica, non soltanto ungherese, anche della politica europea. Orban aveva capito perfettamente che il PPE non aveva nessuna intenzione di buttarlo fuori, specie prima delle elezioni, e quindi ha ottenuto tutto quello che voleva sul piano interno inclusa la probabile espulsione dell’Università fondata da George Soros – che non verrà espulsa, ma lascerà volontariamente l’Ungheria spinta da un contesto legale sfavorevole, che è esattamente quello che Orban voleva.
Orban sposterà il PPE su posizioni molto simili alle sue e il PPE si si troverà costantemente ricattato tra un’ala sinistra più favorevole alla collaborazione con i socialisti e con i liberali – e non escludo che avverrà prossimamente una scissione di quegli elementi che sono sempre più restii a collaborare con Orban – e a quel punto potrebbe verificarsi nel PPE quel pieno riorientamento verso la destra o verso il centrodestra che Orban auspica e che potrebbe aprire la strada all’ingresso di movimenti come la Lega. Non dimentichiamoci che l’Italia rischia di diventare nel 2019 forse l’unico Paese importante sul piano demografico in Europa che non manderà deputati nel PPE. Possiamo immaginare che il partito di Silvio Berlusconi prenderà l’8% o il 10% dei voti, e quindi avrà una forza molto più bassa, mentre la Lega e M5S in questo momento non sono parte di nessuna delle due più importanti famiglie politiche. Il peso dell’Italia in queste grandi contrattazione europee sarà oggettivamente basso. Non è un problema di amare o non amare questi partiti, il problema è capire che nella politica europea conta chi è nella stanza dei bottoni. Chi non è nella stanza dei bottoni non conta oggettivamente nulla. Questo Orban lo ha capito molti anni fa. Se i politici italiani vogliono ottenere da Bruxelles quello che vorrebbero – lo sforamento dei conti, politiche di manica più larga, chiudere un occhio su quello che il governo fa – devono garantirsi l’appoggio o almeno la benevolenza dei grandi gruppi. Se non lo fanno andranno sempre incontro a sconfitta e un atteggiamento ostile come accade oggi.
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