Il 24 novembre 2009 Lea e Denise si sono viste per l’ultima volta. Gli ultimi minuti tra madre e figlia sono stati registrati da una telecamera di sorveglianza nel tratto di strada che tra Corso Sempione conduce all’Arco della Pace. Un’immagine preziosa per le indagini sull’omicidio di Lea Garofalo e che il regista Marco Tullio Giordana ha riprodotto con fedeltà drammatica nel film per la tv Lea. La storia terribile di Lea Garofalo, iniziata in Calabria a Petilia Policastro e incastrata nelle efferatezze dei clan di ‘ndrangheta a cui apparteneva la sua famiglia e il suo ex compagno e che verrà trasmessa da Rai Uno il 18 novembre.
Una storia di cui la fine è nota, con la morte di Lea per mano del padre di sua figlia, Carlo Cosco e clan di cui era boss a Milano. Si chiamava il fortino di Via Montello, quello in cui il clan subaffittava appartamenti agli immigrati facendo il bello e cattivo tempo con chi pagava in ritardo e tenendo in scacco il quartiere. Lea Garofalo non apparteneva al clan, pur vivendo sotto lo stesso tetto, fino a quando non prese la coraggiosa decisione di andarsene per salvare la figlia Denise da un futuro già scritto.
Tornò in Calabria, passando per Bari dove incontrò Luigi Ciotti di Libera che dal 2009 protegge Denise, allora minorenne, nascondendola durante il lungo e per lei doloroso processo che, grazie alla sua testimonianza, si concluse con la sentenza di ergastolo per il padre e altri complici.
Difficile e rischioso tradurre tutto questo in film. Poca documentazione: i processi, qualche pagina di diario, i ricordi di Denise, dell’avvocato Enza Rando e quelle immagini dell’ultima passeggiata. Il piumino bianco di Denise, la luce ambrata e poi il buio. Il regista di I cento passi non si è lasciato intimorire dalla sfida, del rischio di tradire la verità, di travisare i personaggi o di esagerare in chiave troppo fantasiosa.
Grazie anche alla scrittura della co-sceneggiatrice Monica Zappelli e delle due attrici: Lea è Vanessa Scalera e Denise Linda Caridi. Carlo Cosco invece è interpretato da Alessio Praticò, che bontà sua, non arriva a rappresentare una brutalità così inimmaginabile, ma rende perfettamente l’idea.
Lea Garofalo, una figura diventata simbolica per raccontare la presenza delle mafie a Milano e della sua battaglia per contrastarla. Una verità storica che nel film non si perde e si avvale delle immagini dei funerali organizzati e celebrati da Libera e dal Comune di Milano, nel 2013 dopo il ritrovamento del corpo della donna, fino ad ora scomparso.
Ascolta l’intervista a Marco Tullio Giordana