L’attacco talebano che il 20 gennaio ha fatto strage in una scuola pachistana – a poco più di un anno da un massacro ben più ampio e dalle conseguenze persistenti – segnala come la militanza armata continui ad avere nel mirino le istituzioni scolastiche.
Non è una situazione nuova, dato che nella sola provincia del Khyber Pukhtunkhwa – dove si trova Charsadda con l’Università Bacha Khan colpita l’altro giorno – sono state almeno 400 le scuole fatte oggetto di attacchi integralisti negli ultimi anni.
Inevitabilmente, oltre a alimentare timori e rabbia, l’evento di Charsadda ha alimentato le polemiche sulla sicurezza di potenziali obiettivi civili, proprio come le istituzioni scolastiche, che sono un baluardo contro il tentativo di infiltrazione ideologica dell’islamismo jihadista. Non a caso, da giorni, a Peshawar e nei suoi dintorni erano state sospese le lezioni in numerosi istituti per la probabilità di azioni terroristiche.
La memoria del massacro del 16 dicembre 2014 in un scuola gestita dai militari a Peshawar è d’altra parte ancora viva. Allora, l’attacco di numerosi armati di militanza talebana portò alla morte di 141 persone, in stragrande maggioranza studenti medi e superiori, “colpevoli” di frequentare una istituzione nata in origine per i figli dei soldati della guarnigione locale ma successivamente aperta a tutti.
Quell’evento drammatico, che voleva essere per i talebani un’azione come tante mirata a colpire le forze armate pachistane, divenne di fatto uno spartiacque nella risposta delle autorità e del Paese verso la militanza integralista che proprio nella provincia di Khyber Pukhtunkhwa ha sostegno politico e roccaforti tra la consistente etnia Pashtun.
Il giorno successivo, il premier Nawaz Sharif dichiarò conclusa la moratoria sulle esecuzioni capitali per condanne dovuti a reati di terrorismo. Iniziativa che nei mesi successivi venne estesa e che ha portato negli ultimi 12 mesi all’impiccagione di oltre 400 condannati. Inoltre, l’8 gennaio 2015, il parlamento ha approvato la modifica alla legge per consentire la piena legalità di tribunali speciali militari anti-terrorismo, come pure la limitazione a libertà e diritti in situazione di emergenza.
La massiccia offensiva in corso da tempo nell’area tribale del Nord Waziristan ha colpito significativamente i gruppi della militanza armata islamista ma anche reso più cruenta la reazione, che coinvolge anche militanti stranieri e non più rivolte contro soli obiettivi militari. La più recente infiltrazione di Isis nel subcontinente indiano, ampiamente pubblicizzata anche se con forti resistenze locali di movimenti già attivi, come per i talebani afghani, ha accentuato i rischi ma, al momento, soprattutto le divisioni tra le varie personalità e tendenze della guerriglia, sovente più legata a interessi locali, etnici e clanici, che non a un jihad universale.
Questa situazione può chiarire la rivendicazione iniziale dell’attacco di Charsadda da parte della fazione del Tehrek-e-Taliban che fa capo al comandante Omar Mansoor, seguita poche ore dopo dalla dura smentita della fazione maggioritaria. “Chiunque abbia utilizzato il nome del Tpp per questa attività anti-islamica (…) sarà punito in base alla Shariah”, ha minacciato il portavoce Muhammad Khorasani. Dopo aver ricordato che la fazione principale guidata dal Maulana Fazlullah “è l’unica rappresentativa dei mujaheddin e del jihad in Pakistan”, Khorasani ha anche fatto un’affermazione sconcertante nel suo cinismo: “Studenti inermi che frequentano istituzioni non militari sono importanti per il futuro del nostra jihad e per questo la loro protezione è un nostro dovere”.
Ancora un volta, tuttavia, nell’incrocio delle azioni e dei proclami, i talebani sembrano ignorare che le loro iniziative degli ultimi anni hanno accentuato, insieme a reazioni militari e politiche, un rigetto da parte della società civile e delle organizzazioni religiose, incluso l’islamismo maggioritario.
Occorrerà ancora tempo, come avverte la società civile pachistana, affinché si sviluppino anticorpi adeguati alla minaccia estremista. Al momento, i timori sono che l’infiltrazione “straniera” dell’Isis potrebbe incentivare una ripresa di azioni che hanno come vittime anzitutto cittadini inermi, che rappresentano buona parte dei 40.000 morti nei 15 anni di azione talebana in Pakistan.