Tra poche ore la Sierra Leone dovrebbe essere dichiarata libera da ebola. Tecnicamente questo vuol dire che negli ultimi 42 giorni non c’è stato più alcun contagio. L’ebola ha fatto 11300 vittime. 4800 in Liberia, dove da due mesi non si registrano più casi, 4mila in Sierra Leone, le altre soprattutto in Guinea Conakry, il primo Paese a essere colpito dalla malattia e dove ci sono ancora diverse persone malate. L’epidemia, scoppiata quasi due anni fa, è stata la più grave di sempre.
In Sierra Leone sono ore di attesa. Il Paese si sta preparando a fare festa, anche se i segni lasciati da ebola sono profondi ed evidenti. “Il primo segno riguarda i rapporti umani – ci racconta Andrea Rigon, della University College London, appena rientrato da Freetown, la capitale della Sierra Leone. Anche se l’ebola sta sparendo la gente non si stringe più la mano. Non è più richiesto dalle autorità sanitarie, ma ormai è diventata un’abiutidine, in un Paese dove dalla stretta di mano passa una buona parte delle relazioni sociali”.
Davanti a tutti i luoghi pubblici, ai ristoranti, ai bar, agli ospedali, ci sono ancora tutti gli avvisi con le misure da adottare. “Prima di entrare – ci spiega Andrea Rigon – bisogna sempre lavarsi le mani. Gli alberghi, per evitare contatti con i liquidi corporei, non danno più nemmeno asciugamani. Bisogna portarseli dietro. E poi a ogni posto di blocco ti provano ancora la febbre. In poco più di una settimana mi avranno misurato la temperatura decine e decine di volte”.
Ma questi sono solo i segni più evidenti. Mesi di emergenza hanno avuto conseguenze ancora più profonde. Andrea Rigon ci fa un esempio: “Una signora che fa formazione per giovani donne che arrivano dalle zone rurali è rimasta senza lavoro per otto mesi, perché il suo centro è rimasto chiuso. In quel periodo lei è stata a casa, senza lavoro e senza stipendio, vivendo solo dei suoi pochi risparmi. Ed è successo lo stesso a molte persone che lavoravano negli uffici e nei locali pubblici. Anche le scuole e le università sono rimaste chiuse”. Un paese intero, con un economia già molto debole, che per un anno si è praticamente fermato.
Ascolta la seconda parte del racconto di Andrea Rigon, University College London, appena tornato dalla Sierra Leone