Azra Ibrahimovic lavora a Srebrenica. È responsabile della Casa del sorriso, una struttura dell’organizzazione Cesvi in cui si cerca di favorire il dialogo tra i diversi gruppi etnici. La famiglia di Azra fu pienamente coinvolta nella guerra degli anni ’90: suo padre e suo fratello sparirono nei giorni del genocidio, in cui morirono migliaia di persone. Per quello e per altri massacri il tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia ha condannato a 40 anni Radovan Karadžić, che allora era il leader politici dei serbi di Bosnia.
“Da vittima mi aspettavo l’ergastolo – ci dice Azra. – Una volta che le emozioni si sono calmate, però, va detto che i 40 anni a Karadzic confermano tutte le accuse che gli erano state rivolte. Penso a Srebrenica, ma anche all’assedio di Sarajevo. Dal punto di vista storico questa condanna è molto importante”.
La reazione di Azra Ibrahimovic
Il Paese non ha ancora una lettura comune delle atrocità di quegli anni, con una spaccatura visibile persino nel luogo simbolo di quel disastro. “La nostra società è molto divisa. Questo si riflette anche su Srebrenica, dove la reazione alla sentenza non è stata unanime, come non lo è stata nel resto della Bosnia. I familiari delle vittime si aspettavano l’ergastolo, mentre i cittadini serbi che continuano a negare il genocidio volevano la liberazione di Karadžić”.
Azra racconta un fatto di pochi giorni fa che dice molto su questa contrapposizione: “Il presidente della Republika Srpska, una delle entità in cui è diviso il Paese, ha inaugurato una casa degli studenti intitolandola proprio a Karadžić. Alla cerimonia era presidente la moglie dell’ex leader. Tutto questo non ha senso ed è un fatto politico che fomenta il conflitto”.