L’hanno definita la secessione dei ricchi.
Domani, sul tavolo del governo arriva un progetto di legge per l’autonomia di Lombardia, Veneto e Emilia Romagna. Non se ne sa nulla. Non si sa se sarà, come probabile, un progetto di legge costituzionale, sopratutto non si sa cosa contenga davvero. Tutto segreto.
Si sa che le regioni del sud stanno protestando, si sa che il Veneto vuole per sé tutti i soldi delle sue tasse, che la Lombardia ne vuole un po’ di meno, ma molti di più di quelli che versa oggi, si sa che l’Emilia Romagna è la più grande regione amministrata dal Pd e la sua decisione di chiedere a sua volta l’autonomia ottiene due effetti. Il primo: l’Emilia Romagna rischia a suo malgrado di diventare il cavallo di troia dei leghisti che non hanno mai rinunciato a dividere il Paese tra ricchi e poveri. Il secondo: spacca il Pd tra nord e sud, perché il capofila della rivolta è il presidente della Campania, De Luca.
Poi c’è un dato concreto, reso noto dall’Istat. Riguarda le pensioni. Per decenni la retorica anti meridionale, razzista, ha affermato che il Sud fosse una terra che vive di pensioni. Ecco. Il divario tra le pensioni del Nord e quelle del Sud è del 21 per cento ed è in costante aumento. Nel 1983, per dire, era del 9 per cento. L’anno scorso del 18 per cento. Le famiglie dei pensionati al Sud e Isole hanno un rischio di povertà tre volte superiori che al Nord. Il Sud, con l’autonomia, viene abbandonato a se stesso. Senza progetti di sviluppo, senza più un pensiero politico per colmare le differenze, se si eccettua l’idea di dare un sussidio ai disoccupati che di per sé non è un male, ma che non affronta i problemi strutturali.
La secessione dei ricchi, è una definizione molto azzeccata. 100 anni dopo Gramsci e Salvemini, l’Italia ha rinunciato a risolvere la Questione Meridionale.