A ingranare ci ha messo un po’. Nel grande caos delle prime settimane della pandemia, l’hotel Michelangelo di Milano, una delle due strutture abilitate in città a ricevere persone COVID positive dimesse dagli ospedali o entrate in contatto con persone infette, era semivuoto. Complicazioni organizzative, perlopiù, oltre a qualche rivalità derivante dal fatto che è un progetto con molti attori, dal Comune alla Regione, all’ASST Trivulzio. Adesso, a cinque settimane dall’ingresso del primo ospite, è quasi pieno.
Diciassette piani, 202 ospiti su una capienza di quasi 300. Per la maggior parte sono persone dimesse dagli ospedali non completamente guarite o comunque ancora positive. E poi, qualche accesso diretto di COVID-positivi con condizioni abitative non compatibili con una quarantena, alcune decine di poliziotti per cui il Prefetto ha richiesto l’isolamento.
Nelle stanze gli ospiti stanno da soli, i pasti vengono lasciati davanti alla porta, una volta la settimana cambio di lenzuola e biancheria. Anche i consulti con i medici volontari, che offrono assistenza per otto ore al giorno nella struttura, avvengono prevalentemente al telefono.
Nel tempo la permanenza media all’hotel Michelangelo si è allungata: i 14 giorni sono diventati 21, man mano che si è capito che il virus è più persistente di quanto si pensasse. Due volte al giorno vengono misurati i parametri vitali. Ma non c’è solo questo, perchè quella dei guariti è una categoria molto eterogenea: “Chi è stato intubato per settimane ha delle conseguenze sul sistema muscolare molto importanti, stenta a camminare“, spiega il dottor Boioli, uno dei medici impegnati nella struttura. “E poi ci sono le malattie pregresse: chi è entrato in ospedale col diabete se lo porta dietro, e va curato“.
Le difficoltà ci sono e sono tante: per gli ospiti, racconta sempre il dottore, l’isolamento è duro. Molti sono stranieri, con le complicazioni linguistiche e culturali del caso. Chi è stato malato si sente un sopravvissuto. Per alcuni, i più fragili, dopo il Michelangelo non c’è nulla: come la badante che si è ammalata insieme alla donna che curava e che ora, guarite entrambe, non la rivuole più: anche la paura è contagiosa.