Bandiera dell’Europa? No, grazie. Il nuovo primo ministro della Polonia, Beata Szydlo, ha deciso di “ammainare” la bandiera a dodici stelle dell’Unione europea dalle sue conferenze stampa settimanali. Durante il primo briefing ufficiale del nuovo primo ministro, qualcuno se n’è accorto. Alle spalle della premier campeggiavano solo i vessilli nazionali. Non poteva essere un caso. E infatti non lo è.
La premier, interrogata in proposito, ha prima riconosciuto che, in questi tempi difficili, c’è da ringraziare per il fatto che la Polonia faccia parte della Nato e dell’Ue. Ma ha poi aggiunto che, da ora in poi, le conferenze stampa dedicate a questioni nazionali avranno luogo avendo come sfondo “le più belle bandiere bianche e rosse”. Una semplice curiosità? Niente affatto. In realtà nasconde una visione politica ben precisa e fa leva su un sentimento molto forte nell’elettorato polacco.
Il 25 ottobre scorso il partito di destra anti-Ue ‘Diritto e giustizia’, a cui appartiene Szydlo, ha vinto le elezioni politiche conquistando il 37,5% delle preferenze e aggiudicandosi 235 seggi su un totale di 460 parlamentari. Le scelte del nuovo governo rischiano di mettere in imbarazzo e indebolire Donald Tusk, l’ex premier polacco dallo scorso anno presidente permanente del Consiglio Europeo. Ma la stessa premiership non è esente da critiche. Nonostante la vittoria elettorale, infatti, più di qualcuno ha messo in dubbio le reali competenze della Szydlo, in particolare sui temi economici. E un segnale della debolezza della sua leadership emergono dalla scelta di essere affiancata da ben tre vicepremier.
Il primo vicepresidente del Consiglio è anche colui che, all’interno del partito, più da vicino ha insidiato la premier in carica: Piotr Gliński, presidente dei sociologi polacchi fino al 2011, già in due occasioni, nel 2012 e nel 2014, è stato votato dal PiS in Parlamento quale proprio candidato premier. Gliński ha ottenuto anche la delega alla Cultura e al patrimonio nazionale.
Gli altri due vicepremier sono, rispettivamente, un tecnico e un politico. Il primo è Mateusz Morawiecki amministratore delegato della Banca Zachodni del gruppo Santander, che guiderà anche il ministero dello Sviluppo economico. Il secondo è Jarosław Gowin, già ministro della Giustizia dal 2011 al 2013, poi fuoriuscito da Piattaforma civica per fondare un nuovo partito, Polonia Insieme, che alle ultime elezioni si è alleato con il PiS, in una lista unitaria. Oltre alla carica di vicepremier, Gowin ha ottenuto anche la delega all’Università e alla ricerca scientifica, nonostante due anni fa abbia dovuto lasciare il governo proprio a causa di una sua dichiarazione particolarmente dura contro la fertilizzazione in vitro nella quale accusava la Germania di compiere esperimenti scientifici su embrioni importati da altri paesi.
Ma cosa cambierà nei rapporti fra Varsavia e Bruxelles? Certamente rispetto all’Unione la nuova leadership polacca sarà molto meno conciliante, per non dire più ostile. La contrarietà alle politiche europee è stato del resto il lei motiv della campagna elettorale ed è nel dna politico del partito al governo. Potrebbe per questo un incrinarsi della relazione previlegiata che Varsavia si è saputa costruire con Berlino. Al contrario, la visione di Europa del PiS è relativamente affine a quella dei Tories di David Cameron, Strada spianata all’integrazione economica quando facilita il mercato, ma opposizione strenua a qualunque idea federalista e di Europa più istituzionale. E niente euro. Altra differenza in Europa sarà il ritorno della Polonia a posizioni più vicine a quelle del gruppo Visegrad, di cui fa parte insieme a Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia: le prime prese di posizione sul tema dei migranti ne è la prova.
Molto insomma potrebbe cambiare. E se in politica i simboli contano, la decisione di ammainare la bandiera europea è certamente un segnale. Il bianco-rosso nazionale meglio si addice al nuovo corso rispetto alle stelle dell’Unione europea.