Si può essere fuori di testa e non essere obbligati a sgozzare preti o sparare a ragazzini fuori da un McDonald’s? Risposta ovviamente affermativa, con l’aggiunta che si possono fare anche dei capolavori in grado di entrare nella storia dell’arte.
E’ quanto ci conferma “On the verge of Insanity-Van Gogh and his illness“, una mostra sulla malattia mentale del grande pittore olandese ospitata sino al 25 settembre al Van Gogh Museum di Amsterdam. L’esposizione comprende 25 opere tra disegni e quadri dell’ultimo anno e mezzo di vita di Vincent e una serie di documenti inediti (tra cui la petizione dei cittadini di Arles per rinchiudere il pittore in manicomio).
Una mostra che in pratica è il racconto di come la malattia si manifestò nelle opere dell’artista e di come da esse trapelasse una lotta continua per contrastarla, cosa l’artista scrivesse in merito a questo suo stato, le reazioni di chi gli stava accanto e l’influenza che questo stato mentale ebbe sulle sue opere.
In particolare è raccontato in maniera dettagliata “l’episodio dell’orecchio”, quello che più probabilmente ha colpito l’immaginario collettivo. Oltre a documenti che raccolgono le testimonianze del fattaccio, sono esposti i due quadri che Van Gogh realizzò immediatamente dopo essersi ferito: il Ritratto del Dottor Rey (conservato al Pushkin Museum di Mosca, per la prima volta esposto ad Amsterdam), che fu colui che lo curò, e Natura morta con piatto di cipolle (Kröller-Müller Museum, Otterlo).
Se il primo è un vero e proprio flash cromatico, che apre le porte all’uso di un colore vivido e bulimico che sarebbe diventato un suo tratto distintivo, il secondo è una natura morta che fotografa oggetti della sua quotidianità. Una candela, un sacchetto di tabacco e la pipa, una brocca dell’acqua e una bottiglia di vino vuota, un manuale di medicina a base di rimedi naturali, una lettera intestata al pittore, con vicino il cerino spento e la ceralacca. E, ultimo, ma non ultimo, delle cipolle: un elemento della natura con cui Van Gogh era solito identificarsi.
In mostra, tra gli altri, anche i quadri Il giardino del manicomio e Campo di grano dopo la tempesta che parlano della passione dell’artista per la pittura en plein air, nuovo interesse che lo teneva occupato e attivo. Fondamentale la ricostruzione che ci ricorda e documenta che a quei tempi l’artista si era volontariamente rinchiuso nella Maison de santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico, a venti chilometri da Saint-Rémy-de-Provence.
La diagnosi di allora parlava di epilessia, oggi si ritiene che van Gogh soffrisse di psicosi epilettica o “latente epilessia mentale”. Qui l’artista vedeva il mondo da finestre munite di sbarre che davano sul giardino della clinica, al di là del quale c’erano i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l’ultima catena delle Alpi francesi. Per lavorare aveva a disposizione una camera vuota. Poteva anche andare a dipingere fuori dal manicomio, accompagnato però da un sorvegliante.
Raccontava i suoi drammi (più di una volta cercò di avvelenarsi mangiando i colori o bevendo petrolio) e i suoi umori con una lunga corrispondenza epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali. In una lettera del maggio ’89 scrisse:
“Osservo negli altri che anch’essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l’orrore che conservavo delle crisi che ho avuto […] Oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall’angoscia e dal terrore […] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo”.
La mostra si sofferma ovviamente anche sul periodo quando l’artista, dopo aver visitato il fratello a Parigi, si ritirò a Auvers-sur-Oise, una sorta di rifugio per artisti a una trentina di chilometri dalla capitale parigina. Qui visse una bulimia produttiva, dipingendo 75 quadri in due mesi. Nella mostra di Amsterdam troviamo gli ultimi tre realizzati prima della sua morte, da sempre considerata come suicidio. Recentemente sono state formulate nuove ipotesi, come per esempio che fosse stato colpito da un proiettile vagante mente si trovato in un campo a dipingere: quando si accorse che a colpirlo erano stati due ragazzi che giocavano, disse loro di scappare per non essere incolpati, preferendo morire inscenando un suicidio. Probabilmente è solo una congettura “romantica” per cambiare un finale ben più amaro, ma anche questo aspetto della vita di Van Gogh è avvolto nel mistero è l’ultima sezione della mostra lo indaga.
La mostra On the Verge of Insanity può essere visitata fino a domenica 4 settembre tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00, il venerdì fino alle 22.00 mentre il sabato fino alle 21:00. Da lunedì 5 settembre a domenica 25 settembre la mostra è accessibile tutti i giorni dalle 9.00 alle 18.00, il venerdì fino alle 22.00. Qui tutte le informazioni