Quella di domenica è stata una giornata storica in Nuova Claedonia: gli abitanti di questo piccolo arcipelago dell’Oceano pacifico, situato tra l’Australia e le Figi, erano chiamati ad esprimersi con un referendum sull’indipendenza del paese dalla Francia. Ha vinto il no con il 56,7% dei voti contro il 43,3% di si, la Nuova Caledonia rimane quindi francese, ma lo scrutinio ha rappresentato una svolta nella storia del paese. Sia per la partecipazione, che ha superato l’80% degli aventi diritto, sia perché tutti si aspettavano che il no avrebbe vinto con più del 60% dei voti.
Non per nulla gli accordi firmati tra gli indipendentisti e i lealisti filofrancesi nel 1998, cioè vent’anni fa, prevedono la possibilità di indire un secondo referendum tra due anni, in caso di vittoria del no, e un altro tra quattro, prima di rimettersi al tavolo delle trattative. Questo perché le disuguaglianze tra i Caldoches, gli abitanti di origine francese, e i canachi, la popolazione locale, erano tante e tali, in termine di istruzione, reddito, partecipazione elettorale e puro calcolo numerico, che il risultato del primo referendum era dato per scontato da tutti i leader dell’epoca.
La Nuova Caledonia è considerata dall’Onu una delle ultime colonie francesi al mondo, insieme alla Polinesia Francese, ed è governata da Parigi dal 1853. Inizialmente veniva usata come colonia penale, ma nel dopoguerra il paese è diventato uno dei principali esportatori di nichel al mondo. Con l’arrivo in massa dei francesi negli anni 60, i canachi sono diventati minoritari e si sono concentrati nelle zone più povere dell’arcipelago.
Il referendum è il frutto di più di 30 anni di lotte per l’indipendenza, compresa una quasi guerra civile, che i francesi chiamano “gli eventi della Nuova Caledonia”, che negli anni ’80 ha portato alla stesura degli accordi di Matignon e nel ’98 a quelli di Noumea, dal nome della capitale dell’arcipelago, cioè la road map del voto di domenica.
Non deve stupire quindi che gli indipendentisti non considerino questo risultato una sconfitta, anzi. Innanzitutto per la partecipazione, soprattutto dal lato dei canachi, che contrariamente alle aspettative sono andati a votare in massa. Anche i giovani, che non hanno preso parte agli scontri degli anni 80 e vivono in un contesto sociale ancora molto iniquo ma meno drammatico rispetto ai loro genitori, si sono recati alle urne e hanno quasi tutti votato per l’indipendenza.
Per la democrazia e per il futuro del paese è sicuramente un ottimo segnale. Ed è un fatto che faranno pesare al tavolo delle trattative con i lealisti e lo Stato, per spingere a seguire la rotta indicata dagli accordi di Noumea. Per gli stessi motivi i Caldoches non hanno potuto festeggiare davvero la vittoria. Speravano di ottenere una maggioranza schiacciante per poter chiedere a gran voce di rivedere gli accordi e rinunciare definitivamente al progetto referendario, che secondo loro è un’inutile fonte di conflitto sociale.
Per il momento, il primo ministro francese Edouard Philippe si è congratulato da Noumea per questo “vero successo democratico e popolare” ed ha annunciato di voler riunire a dicembre tutte le forze politiche neocaledoni per “tirare insieme le prime conclusioni” dal voto. Macron, dal canto suo, ha invitato tutti a pensare al futuro e ha ricordato che “non c’è altra strada che quella del dialogo”, senza però accennare a nuovi possibili appuntamenti referendari.