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Sollecitato anche dalla mobilitazione internazionale contro l’apartheid, negli anni Ottanta, all’interno dell’onda della “nuova musica africana”, ci fu un grande interesse per la musica del Sudafrica. Poi questa attenzione è andata scemando, sono venuti a mancare via via tanti grandi artisti sudafricani che negli anni Ottanta erano diventati popolari e le etichette di world music non si sono molto occupate di musica sudafricana, neanche nell’ambito della perlustrazione del modernariato della musica del continente nero a cui si sono abbondantemente dedicate.
C’è quindi da compiacersi che la Analog Africa, molto attenta alla musica africana vintage, abbia da poco pubblicato una antologia di The Movers, band di grande successo in Sudafrica negli anni Settanta. La storia dei The Movers comincia nella township di Alexandra. Nata nel 1912 nell’area di Johannesburg, Alexandra, che oggi è una delle township più povere del Sudafrica, ha una lunga storia di lotte e di resistenza. Nel ’67 due musicisti allora sconosciuti di Alexandra, i fratelli Norman e Oupa Hlongwane, si rivolgono a un uomo d’affari locale, Kenneth Siphayi, chiedendogli se può comprare loro degli strumenti, e promettendogli in cambio una quota dei guadagni. Siphayi fa di più: diventa il loro manager, trova uno spazio dove possono provare, presenta al gruppo un organista che si aggiunge alla formazione – e l’organo sarà cruciale nella fisionomia di Movers – e sceglie anche il nome del complesso. Alla fine degli anni Sessanta i Movers cominciano a fare colpo con una musica che innesta sul gusto musicale delle township degli elementi ritmici e, in particolare per quanto riguarda l’organo, delle soluzioni stilistiche riprese dal soul d’oltre Atlantico.
La fama dei Movers comincia a diffondersi anche fuori dall’area di Johannesburg, e ad Alexandra arrivano discografici che vogliono ascoltarli per eventualmente metterli sotto contratto. Nel ’69 i Movers firmano con la Teal Records, e il loro primo album, Crying Guitar, vende 500mila copie nei primi tre mesi. Il Sudafrica è segregato a tutti i livelli, ma i Movers sono un caso pionieristico di band composta da neri che viene trasmessa anche da stazioni bianche: è la spinta del loro successo, e li aiuta il fatto di essere all’inizio un gruppo puramente strumentale, e dunque più neutro alla radio rispetto alla musica nera cantata. Ma poi i Movers cominciano ad utilizzare con successo diversi vocalist, mentre il loro stile si arricchisce di sfaccettature, che si aggiungono all’indirizzo soul: guardano ai generi popolari come il marabi e il mbaqanga, al jazz molto amato dai neri sudafricani, al funk, al reggae. I Movers raggiungono il massimo successo alla metà degli anni Settanta. La raccolta, intitolata semplicemente The Movers 1970-1976, si ferma sull’anno in cui l’epopea dei Movers è ormai al tramonto. Poi il loro manager viene esautorato, e alla fine del decennio nessuno dei membri originari farà più parte della band. Ma intanto nel giugno del 1976 è la protesta degli studenti di Soweto: la polizia spara ed è un bagno di sangue. Anche la township di Alexandra si ribella: si contano 19 morti. E uno degli inni delle rivolte è Soweto Inn, un successo dei Movers cantato da Sophie Thapedi.
Foto | The Movers, Soweto Inn