Secondo il sito 538 – il numero totale dei grandi elettori – in questo momento, Kamala Harris ha 55 possibilità su 100 di vincere il 5 novembre. Donald Trump, quindi ne ha 45. È avanti la candidata democratica, ma solo di un soffio. Se si vanno a guardare i sondaggi nei sette stati chiave, si comprende ancora di più quanto la gara sia veramente incerta. Il margine di errore è del 3%. Ne Kamala Harris ne Donald Trump hanno un vantaggio superiore a questa percentuale in nessuno di questi swing states.
Harris è avanti nella fondamentale Pennysilvania – chi la conquista va al 99% alla Casa Bianca – ma solo dello 0.8%. Di fatto, i due sono lì in pareggio. Per questa ragione nelle prossime tre settimane, il ticket Harris Waltz batterà a tappeto questi sette stati. Arruolato Barak Obama per un tour di 27 giorni, arruolata Liz Cheney – la figlia di Dick, il vicepresidente anima nera dell’amministrazione di Bush Junior – che dovrà convincere gli elettori vecchio stile del partito repubblicano e gli indipendenti – in genere moderati – a votare per la democratica Harris.
La vicepresidente ha una missione fondamentale: ritrovare il consenso di segmenti dell’elettorato che quattro anni fa votarono in massa per Joe Biden, e che non l’avrebbero votato quest’anno, ma che sono non così entusiasti di Kamala Harris. I giovani, per esempio. Rispetto al 2020, un 20% in meno ha intenzione di dare il voto ai democratici. Non vanno da Trump. Semplicemente stanno a casa. I maschi afroamericani. Anche la percentuale di loro, disposto a votare a favore di Harris è inferiore a quella che votò Biden quattro anni fa. Questo potrebbe essere un problema in Michigan e in Georgia, due stati dove i democratici avevano vinto nel 2020, ma che adesso sono in bilico. In Michigan, l’altro problema è l’elettorato di origine araba che contesta le posizioni della Casa Bianca. Kamala Harris ha problemi anche con gli elettori maschi indipendenti, che non si fidano di lei in economia, mentre invece su questo terreno le donne hanno fiducia.