Il ritorno della Russia all’accordo che sta garantendo le esportazioni agricole ucraine attraverso il Mar Nero non era scontato. A maggior ragione in tempi così rapidi. Possiamo quindi parlare di un’importante marcia indietro. Ufficialmente Mosca ha detto di aver ricevuto garanzie scritte che l’Ucraina non utilizzerà il corridoio marittimo per operazioni militari. Lo ha fatto lo stesso Putin.
Sabato scorso i russi avevano accusato Kyiv di aver attaccato la sua marina militare a Sebastopoli usando il porto di Odessa, ma anche il corridoio utilizzato dalle navi che trasportano i cereali.
Il Cremlino si fida degli ucraini? Una lettera del ministero della difesa di Kyiv è sufficiente a far fare una marcia indietro così importante? In realtà la questione è più complessa. E arrivati a questo punto della guerra ci dice una serie di cose.
Innanzitutto ci dice che c’è ancora un minimo spazio per la diplomazia. Quando le questioni toccano interessi globali le pressioni sul Cremlino possono avere successo. Così è stato anche questa volta.
E a fare pressione – il secondo punto – sono state soprattutto Turchia e Nazioni Unite. Non a caso il primo ad annunciare il ritorno di Mosca all’accordo dello scorso luglio è stato Erdogan, con una strategia comunicativa sicuramente concordata con Putin.
Il presidente turco mantiene una specie di neutralità e garantisce alla Russia un canale sicuro verso il resto della comunità internazionale, anche dal punto di vista economico – ricordiamo che Ankara non ha adottato le sanzioni occidentali. In cambio Erdogan rafforza la sua immagine di possibile e unico mediatore in una crisi complicatissima, ancora lontana da una soluzione.
Ma ovviamente Putin non ha fatto marcia indietro per far fare bella figura a Erdogan.
Il presidente russo ha preso l’unica decisione possibile per uscire da una situazione difficile. Prima ha alzato la voce, ma poi ha capito che non avrebbe potuto bloccare sul serio l’accordo che sta tenendo aperti tre porti ucraini sul Mar Nero. Per fare questo avrebbe dovuto bloccare le navi – che negli ultimi giorni si sono mosse anche senza la partecipazione di Mosca al meccanismo di controllo – oppure attaccare i porti ucraini. Non era in grado di farlo materialmente e in ogni caso ha valutato che la condanna della comunità internazionale sarebbe stata unanime. Quindi ha fatto l’unica cosa che poteva fare, marcia indietro appunto. E questo ci dice che nonostante l’imprevedibilità della guerra le scelte del Cremlino sono anche razionali.
I punti interrogativi ovviamente rimangono.
Il primo. L’accordo dello scorso luglio va comunque prorogato prima della sua scadenza il prossimo 19 novembre, tra poco più di due settimane. La Russia – la cui vera preoccupazione sono le sue esportazioni di prodotti agricoli e fertilizzanti – ha detto che può ritirarsi ancora. Lo strumento di pressione rimane, anche se l’arma è spuntata.
Il secondo interrogativo. La scelta razionale potrebbe ripetersi anche sul campo di battaglia? È logico pensare che a un certo punto, viste le difficoltà, Putin accetti di ritirarsi anche da una parte dei territori occupati in questi mesi?
Una terza e ultima domanda. La razionalità dimostrata oggi dal Cremlino prevarrà anche quando si tratterà di prendere decisioni sul possibile uso di armi atomiche.
Alcuni funzionari americani sostengono che il dibattito interno alla leadership politica russa sia sempre animato. Oggi il ministero degli esteri di Mosca ha fatto uscire un documento nel quale ripete che la sua priorità è evitare uno scontro tra potenze nucleari e che una guerra atomica non va mai combattuta. Unico caso: un attacco con armi nucleari oppure un attacco che metta a rischio la sicurezza nazionale del paese.
Oggi Putin sembra essere più razionale, non possiamo ancora dire dialogante. Ma sicuramente le difficoltà e gli errori di questi mesi lo stanno facendo riflettere. Ancora presto per dire se le prossime scelte saranno sempre in linea con quelle di oggi.