Il racconto della giornata di giovedì 13 ottobre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30.
Il discorso di Liliana Segre al Senato è una lezione di storia che non dimenticheremo. Ignazio La Russa è stato eletto come nuovo presidente del Senato. Silvio Berlusconi è il principale deluso di questa votazione, mentre si cerca di capire chi, nell’opposizione, abbia votato La Russa. La maggioranza di Giorgia Meloni si è dimostrata meno solida di quello che pensava. Il quarto incontro tra Erdogan e Putin non ha portato a dei negoziati politico-militari, ma rinforza il potere di mediatore del leader turco.
Liliana Segre al Senato: una lezione sulla storia d’Italia
(di Lorenza Ghidini)
C’è la Storia dell’Italia contemporanea nel discorso di Liliana Segre, e del resto quella Storia lei la porta letteralmente marchiata sulla sua pelle. La Storia di un Paese che ha subito una dittatura sanguinaria e si è riscattato col sacrificio degli uomini e delle donne della Resistenza. Non è retorica, non nelle sue parole. Non è inutile ricordare che da quella lotta di Liberazione è nata la nostra Costituzione, troppo spesso bistrattata da improvvisati riformatori. Liliana Segre ha fatto un discorso profondamente politico, ben diretto alle Destre che si accingono ad andare al Governo, e al loro campione, il collezionista di memorabilia del ventennio, che poche ore dopo avrebbe fatto un discorso stantio e strumentale, come se fossimo all’indomani di Acca Larentia.
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Il discorso di Ignazio La Russa come presidente eletto del Senato
(di Roberto Maggioni)
Salutando Liliana Segre Ignazio La Russa ha salutato il Novecento, chiudendo il cerchio dalla parte degli eredi dei peggiori crimini di quel secolo. La Russa ha puntellato il discorso di Liliana Segre per inaugurare una nuova era italiana, quella della avvenuta e definitivamente compiuta normalizzazione dell’eredità del fascismo.
Risorgimento e Resistenza, Regno d’Italia e Liberazione, iperboli storiche che La Russa utilizza per sdoganare quello che più interessa alla destra sociale italiana: la normalizzazione del fascismo e la parificazione dei morti di destra e di sinistra.
La Russa cita Calabresi, ma non la strage di piazza Fontana. Omette lo stragismo nero e l’eversione neofascista. Usa le date storiche evocate da Segre per nascondere il 25 aprile. Ringrazia Luciano Violante, gioco facile, ricordando il discorso alla camera sulla pacificazione e i morti di Salò.
Mezz’ora per un discorso che Ignazio La Russa ha iniziato a scrivere 40 anni fa, in quegli anni settanta che hanno forgiato la destra sociale italiana che oggi è arrivata rappresentare la seconda carica dello Stato.
L’esito del voto delude Berlusconi e accende il dibattito su chi abbia votato La Russa
(di Anna Bredice)
Se fosse un giallo di Agatha Christie, l’assassino avrebbe lasciato anche troppe tracce, i sospetti puntano tutti verso Renzi e Calenda, soprattutto il primo che ha negato di aver votato La Russa, ma poco prima uscendo dall’aula qualcuno l’avrebbe sentito dire con l’atteggiamento spavaldo dei vecchi tempi, “si vede proprio che non conto niente eh”, quasi la firma ad una operazione che stravolge i pronostici della mattina, elegge al primo colpo La Russa, con l’aiuto dell’opposizione e mette nell’angolo Berlusconi, la cui parabola discendente è stata così pubblica, esibita dagli schermi ufficiali dell’aula del Senato e dai social diventati in un attimo virali. In un video su Twitter si vede Berlusconi che manda a quel paese La Russa, perché si sente vittima di troppi veti da parte di Giorgia Meloni e quella che diventerà dopo poco la seconda carica dello Stato se ne va, lasciandolo seduto a covare rabbia. Nessuno dell’opposizione, ma divisa come oggi, rivendica di aver aiutato l’elezione di La Russa, tutti si accusano a vicenda. Enrico Letta è molto duro, “il voto di oggi dimostra tristemente che una parte dell’opposizione vuole entrare nella maggioranza”, dice il segretario del Pd, riferendosi al fatto che c’è il sospetto che il terzo polo possa sostituire Forza Italia nel futuro governo, Malpezzi, ex capogruppo del Pd giura che nessun del partito è rimasto abbastanza nel seggio per scrivere un nome. Questa mattina nella sala davanti l’aula, per pochi minuti Renzi e Franceschini si sono parlati, poco prima nel bar c’era anche Crosetto con loro, questo basta per puntare il dito anche su Franceschini che respinge le accuse parlando di zizzania. Il sospetto è che nell’opposizione si guardi anche a chi avrà le vicepresidenze del Senato e la guida delle commissioni di garanzia. Ma oltre al grande discorso di Liliana Segre, l’altro evento qui a Palazzo Madama è stata la solitudine di Berlusconi e la sconfitta della sua strategia, annullata in un attimo. Arrivato in ritardo al discorso di Liliana Segre, ha riunito i suoi proponendo di non votare perché ci sono troppi veti sul partito, in particolare su Licia Ronzulli, partecipano al voto solo lui e Casellati, gli altri no.
Incerto nella camminata tanto da dover essere aiutato, torna dopo nove anni al Senato ma è subito sconfitto, si vedrà ora se da domani cercherà di rivalersi alla Camera dei deputati.
La maggioranza di Giorgia Meloni non è così solida come pensava
(di Luigi Ambrosio)
La prima sconfitta è ovviamente Licia Ronzulli. Berlusconi l’ha licenziata in diretta:
“non entrerà nel Governo” ha detto. Era stata lei a insistere per la strategia del braccio di ferro ottenendo che i senatori di Forza Italia non partecipassero al primo voto su La Russa. Ha perso la scommessa e ora paga.
Berlusconi invece è uscito sornionamente dal Senato ostentando serenità. E non ha tutti i torti, anche se oggi incassa una sconfitta pure lui. Ronzulli è l’ufficiale di collegamento con Salvini e ora l’asse con la Lega si indebolisce e rischia di spezzarsi. Salvini ha un incubo: che quello che si è visto oggi sia solo il primo vagito di un qualcosa che potrebbe mirare a spostare gli equilibri. E a farne le spese sarebbe in primis lui.
Il nome che ora propone la Lega alla presidenza della Camera è quello di Lorenzo Fontana, leghista di estrema destra. Un arroccamento.
E poi c’è Meloni.
Il messaggio che chi ha orchestrato la manovra al Senato ha voluto mandare a Meloni è che la sua maggioranza non è di granito. Alla prima crisi vera, un non far fronte come si deve al problema energetico, un altro guaio finanziario o economico, la guerra che si aggrava, che succederà? Già non era chiarissimo prima, ora con una maggioranza che cade in questi tranelli lo è ancora meno.
Circolava una battuta: Quando Meloni si presenterà al Quirinale, Mattarella le chiederà se ha una maggioranza e lei risponderà:
“ne ho due”.
Non è così, lo sappiamo. Ma da oggi pomeriggio sappiamo anche che chi lavora per infilarsi nelle debolezze altrui è molto determinato. E se questo è il primo giorno di legislatura molti tra i fan di geometrie alternative stasera se la ridono.
Il quarto incontro tra Erdogan e Putin: il momento dei negoziati non è ancora arrivato
(di Emanuele Valenti)
Quello di oggi è oggi è stato il quarto incontro Putin-Erdogan in soli tre mesi.
I loro paesi sono spesso coinvolti negli stessi dossier internazionali e nonostante le ricadute della guerra in Ucraina continuano a mantenere solidissime relazioni commerciali.
È proprio su queste basi che Ankara si è messa in prima fila, già dallo scorso inverno, al momento di cercare una mediazione tra Mosca e Kyiv. E alcuni risultati sono arrivati: l’accordo sul grano e quello sullo scambio di prigionieri.
Il momento per un negoziato politico e militare però non è ancora arrivato. In realtà, nonostante le dichiarazioni che arrivano da Mosca, nessuno sembra essere pronto.
Il Cremlino aveva creato aspettative intorno alla riunione di oggi ad Astana. Aveva detto che Erdogan avrebbe portato proposte per una soluzione diplomatica. Ufficialmente i due non ne avrebbero nemmeno parlato. Difficile sia così. Infatti i rispettivi portavoce hanno confermato una discussione su vari temi – energia, grano, nucleare, geopolitica – che in realtà girano proprio intorno al conflitto in Ucraina.
La riunione di oggi non ha prodotto risultati immediati. Non per volontà di Erdogan, ma perché come dicevamo nessuno è pronto a trattare. È stata proprio Mosca a confermare come non ci siano stati contatti con gli americani per un eventuale incontro Putin-Biden e nemmeno con gli europei sul gas.
Ma la posizione di Ankara, come possibile mediatore, punto di equilibrio tra diversi interessi, ne esce sicuramente rafforzata.