E’ la vittoria della Lega.
La Lega ha vinto perché è riuscita ancora una volta a imporre l’agenda politica al Paese.
Lo ha fatto con l’immigrazione, lo ha fatto con l’autonomia delle Regioni.
Assieme alla Lega ha vinto il centrodestra perché ha ottenuto il risultato di mettere il crisi il Pd. Il Partito Democratico si è spaccato: una parte si è schierata per il Sì, a cominciare dal candidato presidente alle prossime elezioni lombarde, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
Una subalternità che potrebbe essere pagata alle regionali e che non farà bene nemmeno in chiave nazionale perché il Pd è arrivato dopo, è andato un po’ di qua e un po’ di là, ha mandato il presidente della Regione Emilia Romagna a firmare un accordo sull’autonomia col Governo, ha inseguito concedendo un vantaggio grande all’avversario politico.
Quasi una egemonia. Esattamente come sull’immigrazione.
Ciò che sta a sinistra del Pd si è limitato a un invito a boicottare il voto per ragioni di tipo tattico, il non voler dare ai presidenti di Lombardia e Veneto un vantaggio in campagna elettorale. E una certa banalizzazione dei risultati serpeggiata sui social a poche ore dalla chiusura dei seggi somiglia ad antichi errori di sottovalutazione che non hanno mai portato benissimo a chi li ha commessi.
Poi c’è il Movimento 5 Stelle. Secondo i primi dati elaborati dall’Istituto Cattaneo, la quasi totalità degli elettori pentastellati ha votato Sì, seguendo le indicazioni. Forse è’ prematuro fare proiezioni di carattere nazionale. Di fatto, siamo di fronte a una saldatura con il centrodestra che replica quanto accaduto la scorsa estate sulle Ong, i profughi, gli sbarchi.
Paradossalmente, chi deve stare attento a come muoversi da qui in avanti è Salvini.
Il Nord sembrava un tema politico morto e sepolto dopo l’uscita di scena di Bossi e l’avvento del giovane successore, il lepenista di casa nostra, il sovranista, il segretario che a Pontida ha cancellato il verde e ha imposto il blu, che preferisce Meloni e Casapound ai secessionisti. Il referendum è una zampata del vecchio Umberto al giovane Matteo.
A Berlusconi non dispiace, l’imbarazzo di Salvini. E non ha alcun problema a cavalcare l’onda. Non a caso il presidente della Liguria, Toti, fedele portavoce del pensiero del capo di Forza Italia, rilancia: riforma costituzionale federalista o referendum in tutte le regioni.
La “questione settentrionale” torna a essere un tema da campagna elettorale che terrà unito il centrodestra.
Un tema politico cui sembra essere immune Milano, dove hanno votato in pochi, solo il 31 per cento degli elettori. Non perché Milano sia centralista, nazionalista, romano-centrica ma, più probabilmente, perché la sua economia, la sua cultura, la sua proiezione sono internazionali, altra cosa rispetto all’Italia e, di conseguenza, rispetto al problema dell’autonomia delle regioni.