La regione dei Grandi Laghi, una delle più ricche di risorse di tutta l’Africa, è attraversata da forti tensioni. Il rischio è che s’inneschi una guerra strisciante. Tutta la regione potrebbe esserne interessata: tra Burundi e Ruanda la frontiera è sempre più calda, in Congo e in Uganda cresce l’allerta per le prossime elezioni, sempre in Congo – nelle regioni orientali – proliferano formazioni guerrigliere. A questo si aggiunge l’ostinazione di tutti i presidenti in carica, che non vogliono lasciare il potere.
Il fronte più pericoloso, al momento, è quello tra Burundi e Ruanda. Le autorità di Bujumbura hanno praticamente espulso un diplomatico dell’ambasciata di Kigali, Desiré Nyahuririra, uomo praticamente vissuto in Burundi e stretto amico di Adiolphe Nshimirimana, il potente ex capo dei servizi segreti burundesi, ucciso il 2 agosto scorso.
Nelle scorse ore il Burundi aveva già preso provvedimenti contro altri cittadini ruandesi, residenti nella provincia di confine di Kayanza, intimando loro di lasciare immediatamente il territorio nazionale sul quale, secondo le autorità “risiedevano illegalmente”. Su un altro fronte, in Ruanda, va registrata la stretta delle autorità nei confronti di 28 presunti complici del tentativo di golpe del 13 maggio scorso, già rinchiusi nella prigione di Gitega, che sarebbero stati separati dagli altri detenuti e posti in isolamento. Il Burundi è già un paese in cui le lotte interne hanno raggiuntio livelli preoccupanti, con omicidi eccellenti di uomini interni al regime e di oppositori. Il motivo è il presidente Nkurunziza che non lascia il potere, nonostante la piazza non lo voglia e nonostante la costituzione gli vieti il terzo mandato.
Il Ruanda si avvia verso una situazione simile. Per la verità il presidente Kagame in questo Paese gode di un sostegno più ampio della popolazione, ma deve fare fronte ad una opposizione determinata che gli contesta di essere al potere da sempre e di volerci rimanere. Nei giorni scorsi la Corte suprema del Ruanda ha respinto, considerandolo “infondato” il ricorso presentato da un gruppo d’opposizione che puntava a impedire la ricandidatura del presidente Paul Kagame per un terzo mandato.
Il partito Verde ruandese puntava ad impedire al parlamento di riformare – nell’ambito di un’annunciata revisione della Costituzione – l’articolo 101, che limita il numero dei mandato presidenziali a due, di sette anni ognuno. La corte ha tuttavia stabilito che l’articolo 193 della stessa carta fondamentale permette la riforma dell’articolo 101 “purché sia fatto dai cittadini attraverso un referendum”. Kagame è alla presidenza dal 2000, subentrato al dimissionario Pasteur Bizimungu, poi eletto due volte (nel 2003 e nel 2010). Di fatto è l’‘uomo forte’ del Ruanda dal 1994.
I Paesi della regione sono molto interconnessi. Potenzialmente, se uno entrasse in crisi, il caos potrebbe diffondersi anche in tutti gli altri. E si tratta di una regione sulla quale sono appuntati gli interessi di molte potenze regionali, continentali e non.