
La repressione delle autorità tedesche contro i manifestanti pro-Palestina ha raggiunto un nuovo livello. Berlino, infatti, ha deciso di espellere quattro giovani residenti stranieri, accusati di aver partecipato a proteste contro la guerra a Gaza. Una misura senza precedenti, che solleva interrogativi inquietanti sui diritti civili in Germania e che ricorda molto le misure adottate dal presidente statunitense Donald Trump contro i manifestanti pro Palestina alla Columbia University.
Le ordinanze di espulsione, basate sul diritto dell’immigrazione tedesco, sono state approvate nonostante l’opposizione del capo dell’agenzia per l’immigrazione di Berlino e sotto forti pressioni politiche, come riportato dalla testata online The Intercept. Particolarmente controversa è l’espulsione di tre cittadini di Stati membri dell’Unione Europea, che teoricamente godono del diritto alla libertà di movimento all’interno dell’UE.
I quattro attivisti non sono stati condannati per alcun crimine, ma il governo di Berlino giustifica la loro espulsione con il sospetto di aver partecipato a proteste “pericolose” e favorevoli ad Hamas, sebbene non siano state fornite prove concrete per quest’ultima accusa.
Per la prima volta Berlino invoca il concetto di Staatsräson, la “ragione di Stato”, secondo cui la Germania ha un impegno speciale nella difesa di Israele, per l’espulsione di manifestanti. I quattro attivisti, a meno che non vengano accettati i ricorsi degli avvocati difensori, dovranno lasciare il Paese entro il 21 aprile 2025, pena la deportazione forzata. Per uno di loro, cittadino statunitense, le conseguenze sarebbero particolarmente pesanti: il divieto d’ingresso in tutti i 29 paesi dell’area Schengen per due anni. Il caso si è trasformato in un simbolo del crescente giro di vite sulle proteste in Germania, sollevando il dibattito su come il governo stia bilanciando la lotta all’antisemitismo con la tutela della libertà di espressione.
Nel corso degli anni, lo spazio per le manifestazioni pro-Palestina si è progressivamente ridotto: prima con il divieto della bandiera palestinese, poi revocato, in seguito la censura dello slogan “From the river to the sea, Palestine will be free” e infine con la proibizione di qualsiasi slogan in arabo. Negli ultimi mesi, il Paese è stato teatro di numerose manifestazioni a sostegno della Palestina, nonostante le restrizioni imposte dalle autorità. A Berlino e in altre grandi città, migliaia di persone sono scese in piazza per esprimere solidarietà al popolo palestinese e chiedere la fine delle ostilità nella Striscia di Gaza. Tuttavia, le proteste hanno spesso incontrato divieti, arresti e tensioni, con episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine.
La repressione si era già inasprita ulteriormente quando il Senato di Berlino aveva proposto modifiche legislative che permetterebbero alle università di espellere studenti coinvolti in proteste non autorizzate o occupazioni, proprio mentre veniva impedito alla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese di parlare, e ora con l’ordine di espulsione di 4 attivisti, senza nessuna condanna, semplicemente per aver partecipato a delle proteste. Misure che lasciano aperti diversi interrogativi sulla libertà di espressione in Germania.
di Alessandro Ricci