Invece di parlare delle prospettive del negoziato che tra pochi giorni dovrebbe riprendere a Ginevra il governo siriano ha preferito annunciare i preparativi per una nuova campagna militare su Aleppo. Non solo, il primo ministro, Wael al-Halaki, ha aggiunto che ai preparativi partecipano anche le forze russe. Parole che per la crisi siriana sembrano indicare un ritorno indietro di alcune settimane, quando gli scontri armati e i bombardamenti aerei avevano raggiunto livelli mai visti in precedenza e quando non era ancora in vigore la tregua, che in qualche modo regge da fine febbraio.
Il regime di Bashar al-Assad non ha mai manifestato entusiasmo per la trattativa voluta dalle Nazioni Unite e infatti finora gli incontri indiretti non hanno prodotto alcun risultato. La delegazione di Damasco si è sempre rifiutata di parlare di transizione politica, il che equivale a dire che il regime non ha alcuna intenzione di negoziare.
Questa rigidità potrebbe mettere a nudo le paure del regime, ma potrebbe anche confermare la sicurezza di Assad, che negli ultimi mesi, grazie all’appoggio russo, è riuscito a riprendere il controllo di diverse regioni importanti. Una cosa è certa, rispetto all’anno scorso il presidente siriano è in una posizione di forza. Interessante, a questo punto, capire la natura di questa nuova forza del regime.
“In questo periodo – spiega a Radio Popolare Bente Sheller, direttrice per il Medio Oriente della Fondazione Heinrich Böll – è molto chiaro come Assad sia forte solo grazie all’appoggio esterno, soprattutto l’appoggio russo, nelle ultime settimane diminuito ma ancora determinante. E poi bisogna ricordare tutte le milizie straniere che stanno aiutando l’esercito di Damasco. Il regime ha ottenuto importanti vittorie, ma solo grazie ai suoi alleati”.
La guerra in Siria è famosa per essere anche una guerra per procura, dove le potenze regionali si scontrano attraverso le milizie locali. Gli attori esterni vengono spesso citati per l’appoggio e il finanziamento ai diversi gruppi ribelli. In prima fila i paesi arabi del Golfo. Ma anche sull’altro fronte non mancano gli interventi esterni. Oltre allo storico appoggio dell’Iran Bashar al-Assad ha incassato il supporto militare degli Hezbollah libanesi e di milizie sciite ad hoc formate soprattutto da combattenti provenienti da Iraq e Afghanistan. Questa sarebbe stata una componente importante anche nella recente riconquista di Palmira.
Sul fronte interno invece Assad ha sempre goduto dell’appoggio incondizionato della comunità alawita, la sua comunità di riferimento che fa circa il 12% della popolazione siriana, e delle altre minoranze. La scorsa settimana la Radiotelevisione britannica BBC ha rivelato l’esistenza di un documento proprio della comunità alawita che chiederebbe al presidente siriano un cambio di rotta: un governo inclusivo, uno stato laico, un paese fondato sulla democrazie e i diritti di tutti. Non esattamente la Siria degli ultimi decenni.
“Si tratta di un documento molto interessante – ci dice Bente Sheller. Non avevamo mai visto nulla del genere da parte della comunità alawita. Il potere di Assad e l’appoggio degli alawiti sono il risultato di un’attenta distribuzione delle risorse ai sostenitori del governo, soldi e privilegi. In sostanza meno privilegi, meno supporto politico. Il problema di questo documento è che non sappiamo quanto sia rappresentativo della comunità alawita. Il documento è anonimo”. Ufficialmente non ci sono state reazioni da parte del regime.
Stando alle ultime dichiarazioni del mediatore internazionale Staffan de Mistura i colloqui di Ginevra dovrebbero riprendere mercoledì 13 aprile, tra due giorni. Anche se la delegazione governativa dovrebbe arrivare il giorno successivo, dopo le elezioni parlamentari, che hanno proprio l’obiettivo di mostrare all’opinione pubblica internazionale la legittimità del regime.
Bente Sheller, che conosce molto bene la Siria ed è autrice di un importante libro sulla politica estera di Assad (The Wisdom of Syria’s Waiting Game) non è per niente ottimista: “Io ho dei forti dubbi. Il regime ha sempre temporeggiato. Ha sempre cercato di rinviare il dialogo sulla transizione politica. E ha accettato la ripresa del negoziato solo quando la situazione militare giocava a suo favore. Esattamente quello che è successo in questi giorni, con la riconquista di Palmira. Assad vuol far passare il messaggio che lui e solo lui può sconfiggere gli estremisti islamici e che quindi merita l’appoggio internazionale, proprio come Palmira merita la protezione internazionale per il suo patrimonio archeologico. Dal suo punto di vista, credo, non è ancora il momento di negoziare”.
Una lettura che conferma anche una fonte di Radio Popolare a Damasco: “per quello che si vede e si sente qui non è certo arrivato il momento di fare un governo con l’opposizione”.
A questo punto la guerra, ormai entrata nel suo sesto anno, è destinata ad andare avanti. Nelle ultime settimane sono ripresi anche i combattimenti e i bombardamenti. L’ultima dichiarazione del primo ministro siriano sulla nuova campagna per Aleppo conferma quindi una tendenza che nessuno ha la volontà politica di fermare.