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La fine delle sanzioni

La rimozione delle sanzioni all’Iran segna l’inizio di una nuova era per il Paese e per le sue relazioni esterne.

Gli iraniani aspettano da anni questo momento. La rimozione delle sanzioni è da tempo la priorità delle priorità per tutti, a prescindere dalle posizioni politiche. Il blocco economico e finanziario ha impoverito milioni di persone, ha fatto aumentare i prezzi dei beni di prima necessità, ha impedito il rinnovamento del settore tecnologico, ha bloccato in buona parte la vendita di petrolio, ha colpito anche quei settori, per esempio quello farmaceutico, formalmente esclusi dall’embargo.

Le sanzioni hanno isolato il sistema finanziario iraniano. Nel Paese ha continuato ad arrivare di tutto. Ma a prezzi molto più alti, che non tutti si potevano permettere. Alcuni si sono arricchiti con il mercato nero, ma la maggioranza ha dovuto rinunciare agli affari, a una parte dello stipendio, spesso al lavoro.

Lo stesso regime aveva deciso di negoziare con la comunità internazionale sul programma nucleare proprio per evitare che il paese implodesse. E adesso ne esce rafforzato.

Adesso sulla carta l’Iran ha le potenzialità per diventare una potenza economica. Ha una popolazione giovane, colta e preparata, tra gas e petrolio le principali risorse energetiche al mondo, un sistema produttivo che non si è mai fermato. Molte compagnie straniere stanno studiando da mesi i migliori investimenti, nei settori più disparati. Sono già pronti contratti per miliardi di dollari.

Il passaggio può quindi essere vantaggioso per tutti. Tehran ha bisogno dell’aiuto esterno per rinnovare la sua tecnologia, per esempio per la raffinazione di petrolio e l’estrazione di gas in mare aperto. L’occidente ha bisogno di un mercato giovane dove investire.

La rimozione delle sanzioni rappresenta poi un ulteriore passo in avanti nella normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Europa e Stati Uniti. L’Iran è l’unico Paese stabile del Medio Oriente, e nonostante la rottura Washington e Tehran si parlano e collaborano, per esempio contro l’ISIS in Iraq, da parecchio tempo. Non a caso l’Arabia Saudita, con Israele il principale alleato degli americani nella regione, ha protestato più volte con l’amministrazione Obama. Riyad e Tehran si contendono la leadership regionale, sfruttando anche la storica divisione sciiti-sunniti. E probabilmente continueranno a farlo.

Ma lo scontro frontale sarebbe deleterio per entrambi, la rivalità passa così da vari conflitti regionali, principalmente Yemen e Siria. Qui, al momento, è difficile prevedere le ricadute della riammissione dell’Iran nella comunità internazionale.

La Repubblica Islamica non rinuncerà mai ad avere un governo amico in Siria, e non ritirerà mai il suo appoggio ad Assad. Mentre Stati Uniti ed Europa, seppur con molte sfumature, pensano che prima o poi l’attuale presidente siriano se ne debba andare. La rimozione dell’embargo creerà un clima più favorevole per un dialogo sul futuro del Medio Oriente. Tra dieci giorni a Ginevra cominceranno i negoziati tra governo siriano e opposizione. Parteciperanno anche Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita. Sarà un test e un’occasione per tutti.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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