Ancora una manciata di settimane e il progetto di Renzi di modifica della Costituzione riceverà il sì definitivo del Parlamento. Mancano soltanto gli ultimi due voti, le seconde votazioni di Senato e Camera, e poi – prevedibilmente da aprile – scatteranno i termini per richiedere il referendum confermativo.
Al referendum si arriva quando in quelle seconde votazioni il progetto di modifica della Costituzione non viene approvato dalle camere con la maggioranza dei due terzi dei loro componenti (articolo 138 della Costituzione). E così sarà, la maggioranza dei due terzi non verrà raggiunta. A quel punto scattano i tre mesi di tempo per chiedere il referendum confermativo: la richiesta può essere fatta da un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Renzi è il primo ad aver voluto quel referendum. Già all’inizio dell’iter parlamentare della sua riforma aveva preannunciato che – se necessario – avrebbe fatto mancare la maggioranza dei due terzi in parlamento proprio per consentire lo svolgimento del referendum confermativo. E così sarà, anche in questo caso.
Le modifiche scritte nel progetto Renzi-Boschi vanno a toccare parti importanti della Costituzione: cambiano i poteri e la composizione del Senato che non darà più la fiducia al governo; si modifica l’iter parlamentare delle leggi e si crea una corsia preferenziale in parlamento per i disegni di legge del governo; si rafforzano le competenze legislative dello stato centrale rispetto a quelle delle regioni. Sono alcune delle principali modifiche.
Memos ne ha parlato con due studiosi della Costituzione dal punto di vista politologico e giuridico: Nadia Urbinati, che insegna scienza politica alla Columbia University di New York, e Massimo Villone, costituzionalista all’Università di Napoli. Entrambi fanno parte del Comitato del No che si è appena costituito.
«Questo progetto di modifica della Costituzione – racconta Urbinati – introduce quello che dagli inizi degli anni ’60 i conservatori italiani, la destra, hanno sempre desiderato avere: e cioè il gaullismo. Un gaullismo che poi è stato metabolizzato anche all’interno del Pd nella forma di un premierato forte, legato ad un riforma elettorale altrettanto forte con uno sbilanciamento maggioritarista. Tale sbilanciamento – prosegue Urbinati – rischia di spostare il baricentro della nostra repubblica dal parlamento (la rappresentanza democratica) all’esecutivo, con la sua maggioranza e il suo leader. C’è, dunque, una visione mono-archica, monarchica, della repubblica».
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