
Al secolo Abdul Rahim Bakayoko, Himra nasce nel 1998 ad Abidjan, la metropoli della Costa d’Avorio. Il rap ha una lunga storia nel paese, dagli anni ottanta uno dei battistrada della diffusione del genere in Africa nera: Himra cerca ispirazione nel drill, un sottogenere dell’hip hop emerso a Chicago e vicino musicalmente alla trap e nei testi al gangsta rap, e nel 2018 comincia ad uscire con album, mixtape ed Ep.
Il vero successo arriva nell’estate 2024 con l’uscita dell’album Jeune & Riche, disco di platino, che gli vale numerosi riconoscimenti: idolatrato dai giovani, Himra diventa il nuovo fenomeno della scena ivoriana. Il suo era il nome in assoluto più atteso al Femua, il festival di musiche urbane che si è svolto ad Abidjan nella settimana di Pasqua.
L’immaginario dei suoi clip è pieno di ego e piuttosto truce, con pitbull, fucili a canna corta e qualche ragazza-oggetto poco vestita: è compatibile questo immaginario con un festival con una vocazione sociale e responsabile?
“È un festival fatto per i giovani e che deve rispondere alle loro aspettative”, ci dice A’Salfo, leader dei Magic System, che nel 2008 ha creato il festival e lo dirige, “Bisogna escludere un artista come Himra? O piuttosto responsabilizzarlo? Bisogna fargli capire che ha la fortuna di essere alla testa della gioventù, e che quindi deve essere di esempio”.
Himra inizia il suo show alle quattro meno un quarto del sabato mattina: i giovani, soprattutto maschi, molti a dorso nudo nel caldo umido della notte di Abidjan, sono arrivati in forze dai quartieri popolari e difficili. Fisico prestante, braccia muscolose tatuate, è da solo davanti a loro, con alle spalle due musicisti alla consolle, niente fronzoli e niente glamour: boati, scariche, colpi di batteria elettronica, sirene, un rap elettronico futurista, essenziale e a suo modo rigorista.
L’empatia col pubblico è immediata: Himra scolpisce frasi rappate con voce cavernosa, i ragazzi ripetono a raffica, come se stessero scandendo degli slogan ad una manifestazione, in un meccanismo serrato e molto africano di chiamata e risposta, e molto africano è anche una specie di dondolio che c’è nel ritmo di questo scambio tra il palco e la platea.
Ad onta dell’immagine da duro, dal vivo Himra sembra subito tradire qualcosa di bonario. Una formula in lingua dioula, “Akafò Akaké”, cioè “dico una cosa e la faccio”, è ricorrente nei brani, e un altro motto è “chi è capace fa”: nei pezzi c’è ego a vagoni, la rivendicazione del proprio successo, ma le parole sembrano funzionare in chiave motivazionale per ragazzi in deficit di autostima.
Racconta che è la sua prima volta sul palco del festival, ma che al Femua c’era già venuto… accompagnato dal papà… e invita i fan alla perseveranza: “un giorno su questo palco potreste esserci voi!”. Sembra un fratello maggiore che dà consigli.
Nel pubblico un ragazzo si azzarda a tirare qualcosa e lui subito lo riprende, severo: “Chi ti credi di essere?”
Ogni tanto attacca una melodia, la voce è bella, e l’impressione è che sotto la scorza del rapper ci sia un gran sentimentale. Vicino al palco un ragazzo handicappato in carrozzina non smette un secondo di gridare le frasi dei pezzi: viene portato sul palco, Himra gli dà il microfono e lo fa rappare, poi dice che una persona che è stata fondamentale per metterlo sulla buona strada è su una sedia a rotelle, e aggiunge: “rispettateli”.
A’Salfo è già stato accontentato. Dato il personaggio e il suo seguito di massa c’era qualche timore: ma quando alle cinque meno un quarto Himra dice “gracias” e esce dal palco, i ragazzi in un attimo lasciano l’area, e tutto finisce senza il minimo incidente.