Decine di persone sono morte in Etiopia nelle proteste contro il governo di Addis Abeba. Amnesty International ha denunciato la morte di oltre cento civili uccisi da interventi dell’esercito e della polizia che hanno sparato sulla folla. La notizia è stata diffusa inizialmente da testimoni oculari e da attivisti per i diritti umani, mentre il governo ha cercato di far passare sotto silenzio l’accaduto o di minimizzarlo parlando di non più di sette persone rimaste uccise.
In realtà migliaia di persone hanno protestato in varie località e anche ad Addis Abeba nel fine settimana. Ci sono state proteste e manifestazioni nella regione nord occidentale di Amhara ed in quella sud occidentale di Oromia, per denunciare gli abusi del governo e le violazioni dei diritti umani da parte di polizia ed esercito e l’emarginazione delle comunità etniche locali composte principalmente da popolazione di etnia Oromo e Amhara.
Da mesi in Etiopia ci sono forti tensioni. Gli Oromo e gli Amhara sono i principali fra gli 80 gruppi etnici in Etiopia e rappresentano insieme circa il 60 per cento dei 94 milioni di etiopi. La regione di Oromia era già stata teatro nei mesi scorsi di proteste contro i piani del governo di estendere l’area della capitale Addis Abeba, che si trova, appunto, in Oromia, nel timore che portasse a un’espropriazione di terre. In quell’occasione, secondo Human Rights Watch, erano state uccise 400 persone. Quel progetto era stato poi abbandonato, ma la rabbia della popolazione, che si sente sempre più esclusa dalle decisioni politiche ed economiche, non è scemata.
In territorio Amhara, invece, le proteste hanno a che fare con i confini federali tracciati decenni fa e che, secondo le accuse, hanno tagliato fuori parte della popolazione.
Le tensioni, come si può capire, riguardano la terra che in Etiopia è ancora la principale fonte di sostentamento per la popolazione. Ma di fatto l’Etiopia, Paese in grande crescita economica, è un paese fragile dal punto di vista politico. Non è stato in grado mai di realizzare un ricambio al potere e ha sviluppato una classe politica inamovibile appartenente all’etnia tigrina che ha dedicato attenzioni e risorse soprattutto ad Addis Abdeba e alla regione del Tigrai.
Ora, dopo un ventennio di potere tigrino, i nodi stanno venendo al pettine e il governo non sembra avere strumenti per placare le proteste se non la brutale repressione. Le vittime di questa ennesimo episodio di violenza sono solo un sintomo di un malessere molto più generale che non mancherà di tornare a disturbare i sogni di sviluppo e di crescita del Paese.