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L’8 e il 9 giugno, diritti al voto. L’importanza di andare a votare per i referendum su cittadinanza e lavoro

referendum - elezioni - cabina elettorale - candidati a sindaco

L’8 e il 9 giugno 2025 le cittadine e cittadini italiani saranno chiamati a votare per 5 Referendum su lavoro e cittadinanza promossi da sindacati, associazioni e partiti, 4 quesiti referendari sul lavoro e il referendum sulla cittadinanza, depositato in Cassazione con 637mila firme.

I cinque quesiti

Quesito 1. Stop ai licenziamenti illegittimi

Si chiede la cancellazione delle norme che impediscono il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamenti illegittimi.

Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?“.

Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi – data di entrata in vigore del Jobs Act (governo Renzi) – non possono tornare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Secondo la Cgil, ad oggi sono oltre 3 milioni e 500 mila – e sono destinati ad aumentare nei prossimi anni – le lavoratrici e i lavoratori penalizzati dal Jobs Act. Il decreto legislativo di dieci anni fa impedisce il reintegro anche nel caso in cui la/il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. L’esistenza o meno del reintegro sul posto di lavoro incide notevolmente sulla relazione tra datore di lavoro e lavoratrice/tore, sul rapporto di forza tra le parti.

Quesito 2. Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese

Si chiede l’abrogazione di alcune norme che riducono le tutele di lavoratrici e lavoratori. Ad esempio, quando nelle piccole imprese si tratta di decidere i risarcimenti per licenziamenti illegittimi.

Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”?

Nelle imprese con meno di 16 dipendenti oggi esiste un tetto alle indennità nel caso di licenziamenti illegittimi. Le lavoratrici e i lavoratori possono al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche nel caso in cui un/a giudice consideri infondata l’interruzione del rapporto di lavoro. Sono 3 milioni e 700 mila, secondo la Cgil, le/i dipendenti che si trovano in uno stato di soggezione. Obiettivo del quesito è aumentare le tutele cancellando il limite massimo all’indennizzo di sei mensilità. Si lascia così al giudice la possibilità di determinare il giusto risarcimento senza alcun limite.

Quesito 3. Riduzione del lavoro precario

Si chiede la cancellazione delle norme che hanno liberalizzato l’utilizzo del lavoro a termine.

Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?”.

Secondo la Cgil, in Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. Oggi i rapporti a termine possono essere instaurati fino a 12 mesi, senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Obiettivo dell’abrogazione di queste norme, che sono contenute nel Jobs Act, è un lavoro più stabile. Il quesito chiede di ripristinare l’obbligo di una causale per il ricorso ai contratti a tempo determinato.

Quesito 4. Più sicurezza sul lavoro

Si chiede l’abrogazione delle norme che – in caso di incidente sul lavoro negli appalti – limitano la responsabilità alle imprese subappaltatrici.

“Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”?”.

Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1000 i morti. Le norme attuali impediscono, in caso di infortunio negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante e subappaltante. Le leggi in vigore favoriscono il ricorso ad appaltatori senza solidità finanziaria e con scarso rispetto delle norme antinfortunistiche. L’abrogazione delle norme contenute nel quesito permettono di estendere la responsabilità dell’imprenditore committente e garantire maggiore sicurezza sul lavoro.

Quesito 5. Referendum sulla cittadinanza italiana

Si chiede di dimezzare (da 10 a 5) gli anni di residenza in Italia necessari alle persone con cittadinanza straniera per ottenere quella del nostro paese.

“Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?”

Al momento si ha la cittadinanza italiana se ce l’hanno almeno il padre o la madre o se si vive stabilmente nel nostro paese da almeno 10 anni. Il referendum punta a ridurli a 5 e avrebbe un effetto diretto sulle persone straniere maggiorenni, ma anche uno indiretto sui figli e sulle figlie minorenni che vivono con loro, e che otterrebbero la cittadinanza grazie a quella riconosciuta al padre e/o alla madre. Il comitato promotore riporta delle stime secondo cui le persone coinvolte sarebbero circa due milioni e mezzo.

Quando si vota per i referendum

I seggi saranno aperti domenica 8 giugno 2025 dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15.

Il voto per i fuori sede

Sono ammessi a votare fuori sede gli elettori che per motivi di studio, lavoro o cure mediche si trovino in un comune di una provincia diversa da quella del comune di iscrizione elettorale per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data delle consultazioni.

Per poter esercitare il voto fuori sede, gli interessati devono presentare, al comune di temporaneo domicilio entro domenica 4 maggio 2025, apposita domanda, utilizzando preferibilmente il modello disponibile a questo indirizzo, indicando l’indirizzo completo di residenza e di domicilio nonché, ove possibile, di un recapito di posta elettronica. Nella domanda è anche manifestata l’eventuale disponibilità a svolgere l’incarico di presidente o componente delle sezioni elettorali speciali che possono essere istituite dal comune di temporaneo domicilio per l’esercizio del voto fuori sede.

Alla domanda occorre inoltre allegare:

  • copia di un documento di riconoscimento in corso di validità;
  • copia della tessera elettorale personale;
  • copia della certificazione o di altra documentazione attestante la condizione di elettore fuori sede, e cioè della documentazione attestante le motivazioni di studio, lavoro o cure mediche per le quali l’elettore si trova temporaneamente domiciliato in un comune ubicato in una provincia diversa da quella del comune di residenza.

La domanda di ammissione al voto fuori sede deve essere presentata entro il 4 maggio 2025 (35° giorno antecedente la data della consultazione), e può essere revocata con le stesse modalità entro il 25° giorno antecedente la data della consultazione, ovvero il 14 maggio.

Il voto per i residenti all’estero

Anche per il referendum hanno diritto di voto tutti i cittadini italiani iscritti all’AIRE, Anagrafe Italiani Residenti all’Estero. Possono votare anche i cittadini italiani temporaneamente (almeno tre mesi) all’estero per motivi di salute, lavoro o studio, a condizione che comunichino il loro status ai consolati di riferimento entro il trentaduesimo giorno antecedente la data di svolgimento della consultazione elettorale, tramite moduli e piattaforme online del Ministero degli Esteri.

Come per tutti i referendum abrogativi, serve il quorum. È importante che si vada a votare per non perdere un’occasione preziosa di partecipazione, a fronte dei periodici ma costanti tentativi di boicottare lo strumento referendario. Ci sono in gioco questioni importanti: l’8 e il 9 giugno DIRITTI AL VOTO.

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    Redazione
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