Agosto 1944, alla testa della liberazione di Parigi, con la Resistenza e le armate americane, ci sono i carri armati dell’esercito francese guidati dal generale Leclerc. E’ Charles De Gaulle ad averlo preteso: dev’essere lo Stato a riscattarsi, e a chiudere la vergognosa esperienza di Vichy. De Gaulle sarebbe stato alla guida della Francia, in varie vesti, fino alla soglia degli anni 70.
In Italia, al momento dell’armistizio, al governo c’è Badoglio, con un esercito allo sbando e un Re che è scappato da Roma prima ancora di comunicare ai cittadini che il Paese ha cambiato fronte. Saranno i Partigiani, con l’intervento degli americani, a liberare il paese dal nazifascismo e a restituire dignità alla Patria.
E’ difficile definire l’Italia un paese antifascista, è piuttosto un paese afascista. Quell’esperienza tragica la si è voluta archiviare frettolosamente, lo Stato ha voltato pagina senza prima averla letta. Mussolini, nella memoria dei più, ha la colpa di essersi alleato con la Germania, e poco altro, ma il centenario di Matteotti ci ha recentemente ricordato cos’era il fascismo, molti anni prima delle leggi razziali e della guerra al fianco di Hitler. Il fascismo in Italia è stato ed è tuttora sottovalutato.
All’indomani delle elezioni francesi ci si chiede con apprensione se mai le nostre opposizioni saranno capaci di unirsi per battere Meloni. Ci sono tre anni, il compito di provarci sta a Elly Schlein, come leader del partito più grande – anche se il PD, da quando è nato, è stato spesso difficile definirlo un grande partito. L’alleanza per i referendum non basterà ma è un buon inizio. Ed è simbolico che la battaglia riparta, unitaria, sui fondamenti della nostra democrazia, che furono posti 80 anni fa dai Partigiani e dai Costituenti.
L’Italia non è un paese antifascista, ma dobbiamo provarci anche noi
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Autore articolo
Lorenza Ghidini