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L’Africa guarda al futuro oltre l’influenza coloniale europea

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I rapporti tra Europa e Africa risalgono alla notte dei tempi, a quando cioè, i primi Sapiens, originari del continente africano, colonizzarono quella che oggi chiamiamo Europa. Rapporti storicamente sempre molto stretti, spesso caratterizzati da scontri, con il Mar Mediterraneo al centro. La svolta nella relazione tra i due continenti avviene con il colonialismo: prima con la tratta degli schiavi, gestita dalle potenze europee, e successivamente durante la cosiddetta corsa all’Africa della fine del XIX secolo, che vide Stati come Regno Unito, Francia, Belgio, Italia e Germania stabilire colonie più o meno estese in tutto il continente.

Da allora, per decenni, l’Europa ha sfruttato le risorse naturali dell’Africa, controllato i suoi sistemi politici e imposto cambiamenti culturali, impattando profondamente sulla sua struttura socio-politica. Oggi, però, il rapporto tra Africa ed Europa sta attraversando un cambiamento significativo, caratterizzato da un costante declino dell’influenza europea. Diversi fattori contribuiscono a questa trasformazione: dal mutare delle dinamiche di potere globale all’aumento del sentimento anticoloniale in Africa, dall’espansione di partnership alternative a quelle con i paesi europei all’emergere di una leadership africana decisa a promuovere l’indipendenza economica.

Infatti, nonostante la narrazione della stampa attribuisca il declino dell’influenza europea quasi esclusivamente alla forte presenza russa e, soprattutto, cinese, non va sottovalutato il ruolo della nuova generazione di leader e intellettuali africani, sempre più lontani dal retaggio culturale delle colonie. In diversi paesi dell’Africa occidentale e centrale, come Mali, Burkina Faso, Guinea e Chad, la presenza europea è stata recentemente messa in forte discussione.

Negli ultimi decenni, i nuovi attori globali hanno fatto il loro ingresso nei panorami economici e politici dell’Africa, in particolare Cina e India, che si sono ormai affermati come importanti partner economici. Nel 2022, l’Asia è stata la destinazione del 32% dell’export africano, mentre l’Europa ne ha assorbito solo il 23%. Cifre analoghe si riscontrano nell’import: il 32% proviene dall’Asia e il 23% dall’Europa. Si tratta di un sorpasso storico: per oltre due secoli tutti i principali partner economici dell’Africa sono stati i paesi europei. Ancora 30 anni fa, il 50% circa degli scambi commerciali africani avveniva con l’Europa.

L’approccio della Cina, caratterizzato da consistenti investimenti in infrastrutture, ha offerto ai governi africani opzioni di finanziamento senza le imposizioni tipiche degli aiuti europei. L’Europa fatica ad adattarsi a queste nuove dinamiche. Per molti paesi europei, le pratiche tradizionali di aiuto e commercio sono così radicate nei quadri di politica estera da rendere difficile la transizione verso un modello più equo e orientato alla partnership. Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha cercato di ridefinire il suo sforzo con l’Africa attraverso iniziative come il partenariato UE-Africa. Tuttavia, questi sforzi sono spesso visti con scetticismo dagli africani, che non li considerano sufficientemente discontinui rispetto alle pratiche neocoloniali del passato.

Mentre l’Africa ridefinisce la sua posizione sulla scena globale, anche la natura del suo rapporto con l’Europa è destinata a evolversi. Con ogni probabilità, i paesi europei rimarranno partner sia economici sia diplomatici, ma dovranno passare da un approccio paternalistico a uno di autentica partnership se vorranno rimanere rilevanti. I concorrenti non mancano e sono già ben presenti sul campo.

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    Non solo droni, bombe e carri armati. Non solo piani von der Leyen. Ieri a Bruxelles, in una commissione del parlamento europeo, si è tenuto un simposio sulle politiche fiscali. Discussa una proposta per l’equità: basterebbe tassare con un aliquota del 3% i ricchi oltre i 100 milioni per ottenere un gettito di 120 miliardi di euro. Un’operazione di equità fiscale che potrebbe finanziare la spesa sociale. Ospite l'economista ed eurodeputato del M5S Pasquale Trìdico, che ha seguito il simposio di Bruxelles. Di politiche sociali, in questo caso del governo Meloni, ha parlato a Pubblica la sociologa del lavoro Giustina Orientale Caputo. Secondo l'Istat, il governo Meloni con i suoi provvedimenti ha contribuito a far aumentare le disuguaglianze in Italia. A partire dalla cancellazione del reddito di cittadinanza. In alcuni casi, come il taglio dell'Irpef e gli sconti sui contributi, le politiche del governo hanno addirittura favorito i più ricchi.

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