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Khmer Rouge Survivors

Produttore americano assai affermato, attivo in particolare ma non esclusivamente nel campo della world music – ha curato per esempio anche una antologia di Jovanotti per il mercato statunitense – Ian Brennan due anni fa si è recato ad Hanoi per realizzare un album che è poi uscito nel 2015, in occasione del quarantesimo anniversario della fine della guerra del Vietnam:War is a wound, peace is a scar”, intestato collettivamente a quelli che ha chiamato Hanoi Masters.

Brennan ha registrato cantanti e musicisti che in un modo o nell’altro avevano avuto a che fare con le vicende della guerra: c’è chi ancora quasi bambino aveva raggiunto l’esercito per tenere alto con le proprie canzoni il morale dei soldati; c’è la cantante che nel corso della resistenza era stata a capo di un villaggio, e che non aveva più cantato da oltre quarant’anni. I cantanti sono accompagnati da strumenti tradizionali, spesso semidimenticati nella vorticosa trasformazione della società vietnamita dopo la conclusione del conflitto, trasformazione che si è tradotta anche nella modernizzazione della scena musicale.

I brani sono stati incisi in maniera diretta, senza manipolazioni, e nel loro carattere semplice, senza fronzoli, queste registrazioni sono di grande suggestione e poesia. Oltre alla rapida nota di copertina firmata da Brennan, non sarebbe dispiaciuto però a corredo della musica avere magari delle informazioni più dettagliate su questi musicisti e sulle canzoni che eseguono. Ma forse, se da un lato ha registrato in maniera nuda e cruda come avrebbe fatto un etnomusicologo, dall’altro Brennan ha preferito non dare all’album una veste troppo filologica e specialistica, e proporlo invece come una sorta di celebrazione laica della fine della guerra, come un album-cerimonia, destinato a presentare soprattutto l’umanità dell’ex nemico, e a far riflettere autonomamente l’ascoltatore sulla guerra, la pace, il passare del tempo, i cambiamenti, a volte non violenti quanto una guerra ma pur sempre con una loro componente traumatica e dolorosa.

War is a wound, peace is a scar” si presentava anche come il primo volume di una serie, Hidden Musics, “musiche nascoste”, destinata a valorizzare con registrazioni “sul campo” aree musicali non ancora abbastanza rappresentate, non ancora venute alla ribalta della world music, e, a giudicare da questo primo capitolo, a volte ormai piuttosto invisibili anche nel contesto di origine: avendo forse come filosofia di questa serie quella di raccogliere dei materiali senza mediazioni, ma senza mediazioni di proporli anche all’ascoltatore, più che alle spiegazioni affidandosi alla forza evocativa della musica e alla sensibilità di chi prende tra le mani questi Cd.

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Brennan è poi tornato nel Sudestasiatico per un altro volume, il terzo, della collana Hidden Musics, uscito nel 2016, intitolato “They Will Kill You, If You Cry”, e intestato a Khmer Rouge Surivivors. Se in Vietnam la scena musicale in via di estinzione documentata da Brennan è stata colpita dalla guerra e poi travolta dai cambiamenti, in Cambogia il produttore scandaglia uno scenario ancora più terrificante: in un paese già martoriato da spaventosi bombardamenti americani, nella seconda metà degli anni settanta i khmer rossi, all’interno del massacro di circa un terzo della popolazione del paese, prendono specificamente di mira artisti e intellettuali, solo un dieci per cento dei quali sopravvivono allo sterminio. Anche in questo caso informazioni scarne ma brani toccanti.

Brennan ha registrato fra gli altri un flautista e percussionista, oggi cinquantenne, che riuscì a salvarsi prima suonando per lo svago dei soldati khmer, poi diventando egli stesso un bambino-soldato nella guerra contro i Vietnamiti: sua la testimonianza che è diventata il titolo del Cd: “se piangi ti uccideranno”. A rendere quasi totale il genocidio delle musiche tradizionali, sono intervenuti poi anche qui violente trasformazioni postbelliche, e la diffusione di una produzione musicale pressoché tutta in inglese, in una popolazione mediamente giovanissima, che non solo non ha memoria della musica tradizionale, ma nemmeno molta consapevolezza degli eventi che quarant’anni fa resero la Cambogia un incubo.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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