Sono state ore cariche di tensione in Perù. Pedro Pablo Kuczynski era ormai considerato da tutti presidente eletto. Ma Keiko Fujimori – con la scusa di aspettare i risultati al 100% – non riconosceva ancora la sua sconfitta.
Alla fine – 5 giorni dopo il voto – la presa d’atto è arrivata: “Accettiamo democraticamente i risultati per rispetto del popolo peruviano” ha detto la figlia dell’ex dittatore. “In questo secondo turno il potere del governo uscente ha appoggiato il nostro oppositore”, ha spiegato, per giustificare il suo fallimento.
Pedro Pablo Kuczynski ha vinto con un margine strettissimo: solo 40 mila voti, meno di un punto percentuale. 50,12% contro il 49,88 di Keiko. Uno scenario simile a quello austriaco: una sfida all’ultima scheda.
“Sono risultati confusi” ha detto Keiko Fujimori. Ma Fuerza Popular, il suo partito, non ha presentato ricorsi, pur avendone la possibilità. Di fatto le autorità elettorali hanno lavorato con correttezza: non c’era margine per contestare il responso delle urne.
Già erano arrivati i complimenti a Kuczynski dai paesi vicini, Cile in testa. Il silenzio di Keiko stava diventando imbarazzante. E i peruviani che ricordano con terrore la dittatura di Fujimori temevano addirittura un colpo di mano.
Alla fine Fujimori ha preso atto della realtà e – riconoscendo la sconfitta – ha promesso “un’opposizione responsabile” nei prossimi 5 anni. Di fatto controlla il parlamento, forte di 73 congressisti su 130. Per Pedro Pablo Kuczynski sarà un bel problema.
La sua squadra mette le mani avanti e spiega che tante riforme si possono fare semplicemente riorganizzando i ministeri, senza dover passare per il Congresso. Oppure lavorando con le autorità locali, ovvero i governatori delle 24 regioni del Perù.
Il timore è che Fujimori usi il Congresso per sabotare qualsiasi atto del futuro governo. “Signora Fujimori, il Parlamento non è suo: è del popolo. E il popolo glielo ricorderà ogni volta che sarà necessario” ha twittato Veronika Mendoza, leader della sinistra.
Il nuovo governo dovrebbe essere pronto a fine giugno. Circolano voci che il Perù potrebbe avere per la prima volta una premier donna: Mercedes Aráoz, eletta vicepresidente a fianco di Pedro Pablo Kuczinski.
Non sarà di sicuro un governo forte. Fino a che punto Kuczynski sarà costretto a cercare la collaborazione della sua avversaria? E’ questa la domanda che tanti peruviani si pongono in queste ore.
Altri semplicemente tirano il fiato per il passato pericolo. “Non oso neanche pensare a una Fujimori presidente”, racconta l’avvocata Mirtha Andrade, che si è laureata a Lima negli ultimi anni della dittatura. “Le università erano piene di agenti dei servizi segreti. Noi studenti non potevamo neppure parlare di politica. Ogni tanto un compagno spariva, altri venivano arrestati”, ricorda.
Tante storie dolorose che riemergono dal passato: il giornalista che non poteva lavorare a causa delle sue idee politiche; il professore che doveva continuamente difendersi dalle accuse di essere legato ai “terroristi”; i contadini che subivano le violenze dell’esercito; le donne sterilizzate a forza, perché indigene e povere.
Tutto questo succedeva alla fine degli anni ’90: neppure tanto tempo fa. Il Perù festeggia ora la sua quarta elezione democratica dopo la dittatura di Fujimori. Quattro elezioni di fila. Da quelle parti è considerato già un buon risultato.