Algeri 23 gennaio, aeroporto internazionale Houari Boumédiène. 270 viaggiatori marocchini vengono fermati in zona transito. Sono diretti a Tripoli. “Non avevano nessun motivo per recarsi in Libia”, spiega un ufficiale di polizia algerino al quotidiano El Watan Weekend. “Se non sono residenti lì e non hanno alcun documento che giustifichi il viaggio per motivi professionali o familiari, abbiamo tutto il diritto di pensare che si tratti di candidati alla Jihad che sperano di raggiungere le fila di Daesh”.
Le autorità algerine informano l’ambasciatore del Marocco del flusso “massiccio” e “insolito” di marocchini in transito da Algeri verso Tripoli. Soltanto dieci viaggiatori sono autorizzati a proseguire il viaggio verso la Libia mentre gli altri 260 vengono rimpatriati. La vicenda è vissuta molto male da Rabat che denuncia la violazione della “legge sul diritto del viaggiatore” firmata dai due governi. Per evitare ogni incidente diplomatico l’Algeria decide allora di sospendere i collegamenti aerei con la Libia fino a nuovo ordine.
“Raggiungere Daesh è l’unica motivazione di questi giovani dai 22 ai 30 anni. Non possiamo permettere di lasciarli andare a farsi uccidere o diventare, in futuro, un pericolo per il nostro Paese che già fa fronte a numerose minacce alle sue frontiere”, aggiunge l’ufficiale di polizia presso l’aeroporto.
La progressione di Daesh in Libia ha obbligato i Paesi del Maghreb a rivedere la loro politica in materia di sicurezza: la Tunisia ha costruito un muro di 130 chilometri lungo il confine; per evitare ogni infiltrazione da o verso la Libia; l’Algeria, secondo El Watan, ha dispiegato 40mila soldati lungo il confine libico, mentre sono stati accelerati i lavori per scavare lungo il confine marocchino una trincea larga 7 metri e profonda 11 metri.
Secondo stime non ufficiali, in Libia l’esercito di Daesh è composto da tremila uomini, la maggior parte tunisini e marocchini. Comunque pochi, pochissimi per pensare di conquistare il Paese. La scorsa primavera Daesh si è insediata nei pressi di Baghla, tra Sirte e Misurata, ma finora non è stata in grado di avanzare verso la zona costiera dove si trovano i terminali petroliferi. Da qui la decisione di avviare una campagna di reclutamento in cambio di un’ottima paga per i mercenari del Califfato.
In un rapporto di studi dei fenomeni jihadisti dell’Isis, il ricercatore Charlie Winter, della Quilliam Foundation, sostiene che storicamente Daesh si insedia là dove l’autorità dello Stato è totalmente assente e la confusione che regna in Libia è una opportunità per tutti. “È ormai evidente che certi gruppi jihadisti in Libia hanno ricevuto assistenza dal Daesh dopo aver giurato fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi”. Il ricercatore cita un documento pubblicato dal movimento terroristico, indirizzato a tutti i jihadisti, che elenca i vantaggi di raggiungere la Libia: “In primo luogo permette di ridurre le pressioni sui nostri fratelli in Siria e Iraq ma anche di sfruttare la posizione geografica della Libia che si apre sul mare, sul deserto, sulle montagne e sei Paesi: Egitto, Sudan, Ciad, Niger, Algeria e Tunisia”.
Secondo un rapporto dell’Onu, 800 jihadisti libici, che combattevano in Siria e Iraq, hanno risposto all’appello tornando a casa. La Libia quindi sarebbe un polo di sviluppo straordinario per Daesh “grazie allo sfruttamento della tratta di essere umani, delle risorse energetiche e degli arsenali di Gheddafi”. Tutto questo potrebbe costituire, alla fine, una rampa di lancio senza precedenti per attaccare gli Stati europei e le navi. Per il momento si tratta solo del sogno di Al Baghdadi. Per i Paesi vicini invece è iniziato il conto alla rovescia verso l’incubo.