Jean Luc Godard è forse il regista più divisivo della storia del cinema, ma, che fosse amato o odiato, è sempre stata riconosciuta la sua importanza. A Godard è attribuita la paternità della Nouvelle Vague, onore molto conteso tra gli autori francesi di inizio anni ‘60 come Chabrol, Rohmer, Rivette e Truffaut. Sono noti gli attriti con quest’ultimo, iniziati poco dopo la realizzazione di “Fino all’ultimo respiro”, il film più celebre di Gordard con Jean Paul Belmondo e Jean Sebarg, scritto dall’ex amico François Truffaut scomparso nel 1984.
Di origine svizzere, nato nel 1930 da famiglia protestante, una laurea in etnologia alla Sorbona, Godard si avvicinò al cinema come critico sui Cahiers du Cinema e, a metà degli anni ‘50, iniziò a sperimentare con la macchina da presa.
Negli anni ‘60 esce “Il disprezzo” dal romanzo di Alberto Moravia con Brigitte Bardot e Michel Piccoli, altro film-culto, seguito da una collezione di opere amate dal pubblico (e premiate, come ”Prenom Carmen” che vinse il Leone d’Oro a Venezia) e altre apprezzate solo dai cinefili. È questo il caso soprattutto dei film-saggio dell’ultima parte della sua vita, dedicati alla politica, all’ambiente e alle tematiche più attuali e rappresentate con uno stile spesso incomprensibile ai più. Anche per questo Jean Luc Godard è stato un punto di riferimento per i cineasti di tuto il mondo.
L’impegno politico, l’indipendenza produttiva, l’originalità di pensiero, il rifiuto ai facili compromessi, la libertà assoluta nella ricerca e nello sviluppo dei temi: l’eredità di Godard è una forma di cinema che nessuno, fino ad ora, è stato in grado di ripetere.