Russell T Davies è un’istituzione della televisione britannica – e non solo. Nato nel 1963, ha studiato a Oxford e subito dopo la laurea ha lavorato, tra fine anni 80 e inizio anni 90, nella divisione per bambini e ragazzi della BBC (dove ha lanciato la carriera di un’adolescente Kate Winslet in Dark Seasons). Ma è il passaggio alla sceneggiatura di serie tv per adulti ad aver segnato una rivoluzione: dopo aver scampato per un soffio la morte per overdose, Davies inizia a fine anni 90 a sviluppare Queer as Folk, una serie autobiografica incentrata sulla comunità gay londinese.
Gli spettatori italiani ne conoscono l’omonima versione americana, un remake realizzato da Showtime qualche anno dopo; ma ad abbattere per primo certe barriere del piccolo schermo, aprendo lo spazio per una rappresentazione inclusiva non solo realistica ma anche fiera e celebrativa di persone fino ad allora marginalizzate, è stato proprio Russell T Davies.
Non solo: l’autore inglese è anche responsabile del revival di Doctor Who, simbolo della tv britannica, avventurosa serie fantascientifica in onda a fasi alterne fin dagli anni 60. Quando Davies se ne fa carico, nel 2005, il Dottore non appariva sullo schermo da quasi dieci anni, e tutti lo davano, questa volta, definitivamente per spacciato: oggi il revival è alla tredicesima stagione, non accenna a fermarsi e, nel frattempo, ha guadagnato milioni di nuovi fan in tutto il mondo. Nel frattempo, Davies non ha smesso di produrre nuovi lavori, anzi, è prolifico e qualitativamente costante come pochi altri sceneggiatori.
Non smetteremo mai di consigliare la sua Years and Years, prodotta per la BBC e in Italia disponibile sulla piattaforma streaming StarzPlay, storia di un’ordinaria famiglia di Manchester alle prese con il futuro prossimo dell’umanità, più realistico che mai, tra cambiamento climatico, crisi economiche e migratorie, evoluzioni della tecnologia. O la miniserie A Very English Scandal, su un fatto veramente accaduto e con uno Hugh Grant in stato di grazia.
In questi giorni in Regno Unito, su Channel 4, è stata resa disponibile la sua ultima serie, It’s a Sin, ed è già considerata una delle migliori novità dell’anno e uno dei migliori lavori di Russell T Davies; in un certo senso, è un ritorno alle origini, cioè a Queer as Folk: protagonisti della serie sono alcuni amici queer che, giovanissimi, approdano a Londra dalle rispettive città di provincia, dove finora hanno dovuto nascondersi a chiunque, alla famiglia, talvolta perfino a se stessi.
Londra è il luogo di una gioiosa liberazione, la terra in cui è possibile costruirsi una famiglia alternativa, trovare un rifugio sicuro, finalmente conoscersi, scoprirsi, diventare se stessi. Ma It’s a Sin è ambientata negli anni 80 – con una ricostruzione del periodo precisa ed evocativa, dai costumi ai set alla musica – e dagli Stati Uniti cominciano ad arrivare voci di una strana malattia, che qualcuno chiama sottovoce “il cancro dei gay”.
It’s a Sin attraversa tutto il decennio, intrecciando la storia di una progressiva liberazione con quella di una tragedia sanitaria alimentata da disinformazione, pregiudizi, omofobia; andando in onda mentre l’Europa è ancora stretta nella morsa del COVID-19, il carico di empatia si fa ancora più potente e commovente: nell’incertezza di un’epidemia allora sconosciuta non è difficile riconoscere le paure, le reazioni irrazionali, i sentimenti contrastanti che ci accompagnano tutti quotidianamente ormai da un anno a questa parte. Ma It’s a Sin non è una serie solamente tragica o angosciante: il ritratto d’epoca e dell’amicizia tra i protagonisti è vitalissimo ed entusiasmante; soprattutto, It’s a Sin restituisce, oltre al dramma, la gioia della resistenza e della lotta. Regalandoci una visione imperdibile.