“C’è una ripresa ma debole, non un’accelerazione. Viviamo in un mondo post recessione e io sono tra quelli che ritengono che l’ipotesi di stagnazione secolare non sia così peregrina”.
A dirlo è il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Parole che confermano il vero timore del Governo: il rallentamento oltre le previsioni dell’economia che unito allo scandalo delle banche potrebbe creare grossi problemi politici all’escutivo di Matteo Renzi.
Le affermazioni di Padoan sulla stagnazione riportano al centro dell’attenzione la questione cruciale di come favorire la crescita, l’occupazione, con un progetto comune dell’Europa sugli investimenti e lo sviluppo. Progetto che oggi non c’è. E I rischi aumentano anche con il crescere delle diseguaglianze, come sostengono economisti come il francese Thomas Piketty, o l’americano – premio Nobel – Paul Krugman.
Il quadro di oggi, dopo la crisi del 2008, è complesso, e i timori di Padoan sull’ipotesi di una stagnazione secolare sono reali.
A frenare la ripresa contribuiscono l’invecchiamento della popolazione, il calo demografico (che comprime i consumi), e quello degli investimenti tecnologici; i salari sono quasi fermi o in calo, accompagnati dalla deflazione, e da una crisi di fiducia collettiva. Tutti questi fattori danno vita al circolo vizioso della crisi economica, in una spirale che si autoalimenta e che potrebbe portare alla “stagnazione secolare. Un quadro aggravato in Europa dalle politiche di austerità, che hanno ridotto al minimo gli investimenti pubblici.
Luca Paolazzi è il direttore del Centro studi della Confindustria.
Paolazzi, quanto hanno pesato le politiche di austerità ?
Moltissimo. In particolare nel periodo dal 2010 al 2013. Abbiamo trasformato un crisi bancaria esplosa nel 2008 , dove l’Italia sarebbe stata salva, in una crisi più profonda dei conti pubblici e questo ci ha penalizzato profondamente. Oggi non c’è piu questo accanimento terapeutico con l’austerità, ma i danni ormai sono stati fatti.
Cosa frena oggi una vera ripresa ?
I fattori sono molti. A partire dal credito alle imprese che resta stretto, la titubanza delle famiglie e delle imprese a spendere dopo la scottatura della crisi, i margini delle imprese e il risparmio delle famiglie che rimangono ai minimi storici, il rallentamento dell’economia mondiale, frenata dai paesi emergenti. Infine una crescita italiana che era già bassa prima della crisi del 2008.
Voi riproponete il grande tema della lotta all’evasione fiscale, zavorra della ripresa. Avete delle stime della dimensione ?
Sì, secondo il nostro centro studi si tratta di 122 miliardi nel 2015, pari a 7,5 per cento punti di Pil (prodotto interno lordo, ndr). Al fisco vengono sottratti quasi 40 miliardi di Iva, 23,4 per cento di Irpef, 5,2 per cento di Ires, 3 per cento di Irap, 16,3 per cento di altre imposte indirette e 34,4 per cento di contributi previdenziali. Sono cifre che confermano come l’evasione blocchi lo sviluppo e distorca la concorrenza. Siamo dopo la Grecia, il paese con più alta evasione fiscale.
La politica, il Governo sta facendo la sua parte contro l’evasione ?
Non abbastanza, occorre migliorare i controlli, rafforzare il sistema delle banche dati, questione molto importante ; più specializzazione e incentivi per il personale delle agenzie delle Entrate. E poi è urgente un vero monitoraggio che tenga sotto controllo costante l’evasione ,e che permetta di capire se le regole, le norme per contrastarla funzionano.
Ma fare una vera , efficace lotta all’evasione fa perdere voti ai politici.
Le riforme strutturali fanno perdere voti perchè all’inizio c’è qualcuno che ci rimette. La lotta all’evasione è una riforma strutturale perchè cambia i comportamenti, modifica profondamente il paese, la sua struttura economica e sociale. Detto questo il 60 per cento degli italiani, secondo le nostre indagini, è favorevole alla lotta all’evasione, il 50 per cento la considera una priorità, il doppio di quelli che pensano che la priorità sia ridurre le tasse. Quindi sicuramente qualcuno sarà scontento, ma il consenso è ampio.
Paolazzi, lei oggi ha ascoltato l’intervento di Padoan, durante l’assemblea di Confindustria a Roma. Il ministro è stato chiaro, ha detto che qui si rischia una stagnazione secolare. Lei cosa dice?
Padoan ha parlato più da economista che da Ministro. Detto ciò Padoan ha riconosciuto che l’economia mondiale, e quindi anche quella italiana, cresce meno del previsto e del passato e questa è purtroppo la realtà, la difficile sfida che dobbiamo affrontare.