
I salari reali in Italia sono inferiori di 8,7 punti percentuali rispetto a quelli del 2008. Lo si legge nel Rapporto mondiale sui salari dell’Organizzazione internazionale del lavoro pubblicato ieri. È il risultato peggiore dei Paesi del G20.
Dopo l’Ocse, Eurostat e tanti altri, anche l’ILO evidenzia come i salari italiani siano troppo bassi. Da qualunque punto di vista la si prenda. Questa volta si guarda ai salari reali, quindi parametrati al costo della vita. L’anno scorso il recupero è stato minimo, poco più del 2%, rispetto al crollo dovuto all’inflaazione dei due anni precedenti, e già su un pavimento estremamente basso. Il risultato è che l’Italia si distingue, si legge nel rapporto, per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo con salari reali più bassi di quelli del 2008 e con la perdita di potere d’acquisto peggiorerispetto agli altri paesi europei. Il cosiddetto costo del lavoro, ma meglio dire la remunerazione del lavoro, è la più bassa dell’Europa occidentale. Basta prendere una qualsiasi tabella eurostat per vedere come ci si collochi a metà: il meno remunerato dell’Europa occidentale, o quello più alto dell’est, questione di prospettiva. Ci sono due problemi che interrogano imprese, ma anche il sindacato. Se guardiamo al Profit share, la quota profitto delle imprese italiane, è 3 punti sopra la media europea. Non è un caso. I ricavi in Italia vanno soprattutto in profitti. Non in salari o investimenti. Le imprese insomma campano di salari bassi grazie a leggi sul mercato del lavoro, e sussidi che lo permettono. I rinnovi contrattuali non recuperano a sufficienza, si veda l’ultimo nel pubblico impiego. Il sindacato non ha forza per sottrarre profitti alle imprese riequilibrando quei dati attraverso la contrattazione. Il salario minimo non c’è, i bonus fiscali eludono il problema, quello appunta di redistribuzione dei ricavi. L’aumento complessivo delle diseguaglianze ne è la logica conseguenza.