“L’Italia fatica ad accettare il principio di uguaglianza e di libertà, tanto più quando riguarda delle minoranze. Senza rendersi conto che, potenzialmente, siamo tutti delle minoranze”.
Chiara Saraceno, sociologa della famiglia, è perplessa. A suo avviso l’azione del parlamento sul ddl Cirinnà, dall’inizio al probabile epilogo, presenta più di un limite: di comprensione, di metodo e di prospettiva.
Il paragone con la stagione del divorzio – gli anni Settanta – aiuta a cogliere alcune differenze e analogie, nell’Italia dei diritti. Quasi mai, in entrambi i casi, positive.
La prima differenza è di percezione. “Sicuramente il divorzio veniva sentito come riguardante potenzialmente tutti”, spiega Saraceno durante il Microfono aperto. “Tutti, o quasi, sapevano che poteva capitare anche a loro che il matrimonio fallisse”.
La seconda differenza è di sguardo. “A favore dell’Italia di allora dobbiamo dire che, quando finalmente fu introdotto il divorzio, fu introdotto nel modo più avanzato possibile. Fu introdotto il divorzio consensuale e non per colpa, come fecero invece all’inizio gli altri Paesi. In questo caso, invece, siamo al minimo sindacale”.
L’insieme delle due differenze, secondo la sociologa, ha determinato che “sulle unioni civili l’Italia stia ripercorrendo, anche faticosamente e con molte controversie, la strada già percorsa da altri. Stiamo introducendo, in forma addirittura ridotta, quello che in Germania fu introdotto anni fa. Come se in mezzo non ci fosse stata storia, come se non imparassimo nulla da queste esperienze”.
Il paragone con la stagione del divorzio porta anche ad alcune analogie, neppure in questo caso positive: “Quello che colpisce è che, sui diritti, l’Italia arriva sempre in ritardo rispetto agli altri Paesi. Dobbiamo ricordarci che ci mise 110 anni ad arrivare alla legge sul divorzio, dalla prima volta che una proposta di legge sul tema venne presentata”.
Il paragone con la stagione del divorzio, tuttavia, non è l’unico tema toccato durante la conversazione.
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