33Oggi, domenica 1 novembre, la Turchia torna al voto. Una tornata elettorale complicata – che arriva pochi mesi dopo le elezioni precedenti che hanno lasciato il paese in stallo – e viene accompagnata dalle polemiche sulla libertà di stampa messa a rischio da diverse iniziative dell’attuale governo. Claudio Agostoni è in Turchia proprio in queste ore, al seguito di uno dei viaggi organizzati da Radio Pop a Istanbul. Da lì ci ha mandato questo racconto e queste foto, per trasmetterci l’atmosfera che si respira in città alla vigilia dell’apertura delle urne.
Da qualche mese Istiklal Caddesi, la chilometrica via dello struscio di Istanbul, ha una nuova colonna sonora. E’ quella proposta da giovani profughi siriani che, armati di percussioni, suonano sotto gli eleganti palazzi di quella che una volta era la via delle ambasciate.
Dallo scorso giovedì, festa nazionale, Istiklal è anche imbandierata a festa con un numero infinito di bandiere rosse con la mezzaluna e la stella. Ovviamente centinaia, probabilmente migliaia, di analoghe bandiere sventolano in tutta la metropoli. Altrettanto numerose sono quelle che ritraggono Mustafa Kemal Ataturk, il padre della Repubblica turca.
Oggi si vota e più di un partito in lizza si propone come la diretta filiazione del padre della Turchia moderna. A partire dal CHP (il Partito Popolare Repubblicano), che in effetti è stato fondato nel 1923 proprio da Ataturk. Ma ci tiene a farlo anche il partito del Presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan: il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, l’AKP.
La sua campagna elettorale è bulimica: il ritratto di Ahmet Davutoğlu, leader del partito e Primo ministro del paese compare dappertutto. Sui muri dei palazzi e su migliaia di manifesti di ogni forma e dimensione. La foto, photoshoppata all’inverosimile, è pressoché sempre la stessa e così l’improbabile montatura dei suoi occhiali sta diventando un incubo per milioni di istanbulioti.
Le facciate di interi palazzi sono agghindate con bandiere colorate griffate AKP. Come non bastasse, spesso, mentre arranchi su un vicolo della città, rischi di essere investito da automobili cariche di altoparlanti che ti bombardano con i suoi slogan elettorali. La sua presenza televisiva è altrettanto ossessiva: l’altro pomeriggio durante una carrellata dei 13 canali offerti dalla tv del mio albergo ben 5 si occupavano di un suo comizio.
Nessuno canale trasmetteva comizi di altri candidati. Nulla è lasciato al caso: decine di manifesti ricordano ai militanti dell’AKP che il primo novembre avranno un compito imprescindibile: portare a votare i disabili. In Turchia per votare non si riceve una matita, ma un timbro e con quello, nel segreto dell’urna, si timbra la scritta ‘evet‘ (si) posta accanto al partito preferito.
Ovviamente abbondano i manifesti che ricordano di apporre il timbro nello spazio riservato all’AKP. Altri manifesti riportano uno slogan che ha preso spunto da quello del CHP. Se il copy del CHP ha partorito “Prima la Turchia“, il creativo dell’AKP ha risposto con ”Non ci siamo io e te, c’è la Turchia”.
Più articolata, anche se un ‘pizzico’ retorica la prosa dell’MHP, il Partito del Movimento Nazionalista (estrema destra) che su un manifesto scrive: “Sono un ezan (colui che chiama alla preghiera) che non ha mai taciuto / sono stato bandiera e non sono mai caduta a terra / Sono diventato martire e non sono mai morto / il mio nome è ‘Musulmano’ il mio cognome è ‘Turco’.
Nei quartieri ad alto tasso di integralismo religioso, come Fatih, è possibile trovare anche qualche cartello del Saadet, il Partito della Felicità: dovevano fare una alleanza con l’AKP, ma poi i conservatori islamisti si son fatti prendere la mano e han chiesto 20 parlamentari: richiesta ritenuta eccessiva per un partito che alle ultime elezioni è arrivato a fatica al 2% e quindi l’alleanza è saltata.
A parte l’attivismo di Erdogan impegnato a far chiudere televisioni e giornali a lui ostili, la situazione in città è apparentemente tranquilla. Qualche elicottero che controlla la situazione dall’alto, pochi militari per strada. Domenica si vota dalle 8 alle 17, ora di Erdogan.
Ormai la chiamano tutti così perché una settimana fa, quando doveva entrare in vigore il ritorno all’ora solare, all’ultimo momento Erdogan ha deciso di spostare questa operazione dopo le elezioni. Milioni di smartphone e di cellulari (programmati per risettarsi automaticamente) sono impazziti, ma il Presidente della Repubblica ora è più tranquillo: nessuno dovrebbe sbagliare l’ora per andare a votare.
Pardon: a votarlo.