Roberto Mancini è morto il 30 aprile 2014. Nemmeno i disperati tentativi di nuove operazioni al midollo sono riusciti a strappare alla morte questo ostinato poliziotto, servitore dello Stato prima nella Criminalpol e poi nelle indagini sul ciclo illegale dei rifiuti. Mancini si ammalò di tumore a causa dei contatti con i veleni della Terra dei Fuochi, dove lui e la squadra andavano a indagare, spesso scavando a mani nude, alla ricerca di prove. Prove che confermavano, con anni di anticipo, i legami tra Camorra, imprenditori senza scrupoli, massoneria e politica. Una battaglia, quella di Mancini, ignorata e anche ostacolata dalle istituzioni.
La storia di Mancini è raccontata nel libro Io, morto per dovere, la storia di uno sbirro controcorrente, “con la fondina a destra e il manifesto sotto un braccio”. Il libro, edito da Chiarelettere, è stato scritto dai giornalisti Luca Ferrari e Nello Trocchia. La prefazione è a firma di Beppe Fiorello e la postfazione è della moglie, Monika Dobrowolska Mancini. Un storia che è diventata anche una fiction, Io non mi arrendo, con Beppe Fiorello, in onda questa sera, lunedì, e domani sera su Rai1. Una vicenda drammatica e attuale che vede Beppe Fiorello come attore protagonista (nel personaggio del poliziotto Marco Giordano, liberamente ispirato a Roberto Mancini).
“Ho deciso di interpretare Roberto Mancini – ci dice Fiorello – per la sua voglia di verità, la sua caparbietà nel fare una grande battaglia civile, in cui ha dato l’anima e il corpo, sino a mettere in gioco la sua vita. Poi la commozione che ho provato nella seconda parte della sua esistenza, quando si è ammalato di tumore, provocato dal contatto con i veleni su cui indagava”. Beppe Fiorello ricorda così la prima volta che gli hanno raccontato la storia di Roberto Mancini : “D’istinto ho provato rabbia e commozione nello stesso momento. Due sentimenti opposti che all’interno di questa avventura umana si alimentano a vicenda”.
Fiorello parla dell’ipocrisia delle istituzioni negli anni in cui Mancini accumulava prove, documentazioni, fotografie sui veleni sversati dalla Camorra nella Terra dei Fuochi: “Le istituzioni lasciarono Mancini in una zona d’ombra, di oscurità, di insabbiamento. Ebbero un atteggiamento ipocrita, senza né aiutarlo né ostacolarlo. Lo lasciarono in un limbo perché Mancini diceva una scomoda verità. Provo rabbia, perché la storia di Mancini è piena di ingiustizie, di imperizie, di silenzi, di valutazioni volutamente sbagliate.”
Fiorello ha parlato a lungo con la moglie di Roberto Mancini, Monika, con la figlia adolescente Alessia e con i poliziotti che lavorarono con lui. “Ho fatto un lavoro documentaristico”, spiega Fiorello. “Ho ascoltato le persone a lui più care, per capire oltre al poliziotto, l’uomo. E mi ha colpito la straordinarietà di Mancini: ha messo in gioco la sua vita, sapendo di farlo, come hanno fatto Falcone, Borsellino, Peppino Impastato, Pippo Fava, ma anche molti giornalisti. Tutti hanno combattuto per dare a noi una società migliore”.
A cosa serve una fiction su Roberto Mancini?, chiediamo a Beppe Fiorello: “Non abbiamo la pretesa di dire verità assolute. Questa fiction serve ad accendere una luce su questa vicenda, non ha il potere di dire verità assolute. Sono certo che parte di chi la vedrà questa sera e domani sarà incuriosito, vorrà sapere di più della storia di Roberto Mancini, un servitore dello Stato. Roberto è morto per noi e deve stare tra le eccellenze del nostro Paese, perché è una bandiera della legalità e dell’onestà civile, e ha dimostrato che ci sono valori per affermare i quali vale la pena di andare avanti contro tutto e tutti, a qualsiasi costo”.
Ascolta qui l’intervista integrale a Beppe Fiorello