La mattina del 3 aprile è scoppiata una bomba che ha sventrato un bancomat in pieno centro a Foggia. Si è trattato di un tentativo di rapina, eseguito con potenza di fuoco non certo da criminalità comune (ricorderete le bombe nei negozi delle scorse settimane). L’esplosione è avvenuta in un territorio difficile, dove sempre più spesso la criminalità organizzata cerca di affermare il proprio potere. Abbiamo intervistato a Radar il sindaco di Monte Sant’Angelo, Pierpaolo D’Arienzo. È una storia che narra di minacce, anche gravi, ma anche della reazione di un sindaco e della società civile del Gargano.
Lei è sindaco dal 2017 e dopo non molto tempo dalla sua elezione c’è stata una prima intimidazione…
Si, l’anno scorso mi hanno incendiato l’auto, è stato il primo atto intimidatorio che ho ricevuto da sindaco. Io ero in Comune, l’auto era parcheggiata nelle vicinanze, non proprio sotto il Comune, dove ovviamente abbiamo videocamera di sicurezza. C’è stato un diverbio con un soggetto diciamo “controindicato”, un rifiuto da parte nostra di sistemare una pratica che riguarda il soggetto, quindi molto probabilmente (le indagini sono ancora in corso) l’incendio potrebbe essere dovuto a questo diverbio. Fermo restando che ovviamente non possiamo dimostrare con certezza quanto diciamo. Ci sono state però delle minacce e quelle sono state prontamente denunciate.
Invece più recentemente avete subito una minaccia molto macabra e molto pesante, ci racconta che cosa è successo circa 15 giorni fa?
L’11 marzo un nostro dipendente comunale ha ritrovato presso la porta d’ingresso della delegazione Municipale, un ufficio distaccato dei servizi demografici presso la frazione Macchia Marina di Monte Sant’Angelo, una busta contenente un teschio umano con all’interno un bigliettino che recava minacce a me, alla mia famiglia e all’assessore al Bilancio e all’Agricoltura e Foreste.
Si è spaventato molto in quel momento?
Si tratta di situazioni che non sono inusuali, certo sappiamo che viviamo in un ambiente complesso, molto difficile, ma più che spaventati siamo rimasti stupiti dalle modalità e dalla pesantezza del messaggio. La cosa che è più preoccupante invece è il fatto che il bigliettino contenesse minacce anche alla famiglia, cosa che prima non era mai successa.
Indubbiamente è una cosa che mette i brividi e fa molta impressione, soprattutto per la modalità. Lei è un sindaco che ha ricevuto un premio importante, il Premio Livatino per il suo lavoro in un ambiente in cui il tema della criminalità organizzata è centrale. Dopo le minacce c’è stata una grossa manifestazione a cui hanno partecipato centinaia e centinaia di persone, con adesioni di associazioni nazionali da tutta Italia, che momento è stato?
La risposta è stata importante e molto bella. Importante perché oltre all’adesione di circa 91 associazioni e altre agenzie educative, ha visto la partecipazione forte di tanti giovani, ma soprattutto della Chiesa che, compatta, con il nuovo vescovo Padre Franco ha usato parole molto forti e allo stesso tempo molto efficaci.
È importante la posizione della Chiesa in quel luogo? Il fatto che il vescovo si sia esposto in prima persona è importante per voi?
Assolutamente si. È importante non solo perché è il rappresentante della Chiesa, ma è il ruolo che la Chiesa deve avere in questo processo di riscatto dei nostri territori che è importante. Per questo la presenza del vescovo in quel momento è stata molto efficace.
Questa grande manifestazione ha dato un segnale forte di partecipazione delle persone, non solo delle associazioni ma anche di tanta gente comune che in qualche modo ha voluto dire: “No, non si può minacciare, non si possono commettere atti intimidatori, non è questa la democrazia che noi vogliamo per il nostro Paese”. All’indomani però vi siete ritrovati un portone del Comune incendiato…
Si tratta degli ingressi laterali agli uffici comunali. Quelli dei servizi sociali da cui si accede al cortile interno e poi alle sale del piano superiore.
È stato un messaggio anche quello?
Beh credo proprio di sì, è un passaggio anche quello non è casuale che sia avvenuto subito dopo la marcia. Adesso gli inquirenti stanno indagando per definire e inquadrare la vicenda, inserirla nel contesto in cui ci troviamo. Naturalmente quello che fa star male di più è il fatto che ci sia stata una reazione immediata a quella manifestazione. Quasi una sfida alle istituzioni, oltre che a quelle locali anche allo Stato, alla squadra Stato che sta operando nella provincia di Foggia.
Forse è stato un avvertimento per spaventare le persone comuni che a quella manifestazione c’erano. Un’associazione antimafia è una realtà già abituata, invece una persona comune che assiste a un’intimidazione di quel genere magari si spaventa. È come dire “Ok, va bene, voi avete manifestato, ma noi siamo qua”.
Che loro siano qui presenti sui territori lo sappiamo, adesso c’è da capire in che modo regolare questo equilibrio e basta. Io penso che il Gargano, Monte Sant’Angelo ma tutto il Gargano, è fatto in maggioranza di brave persone è quindi soltanto una questione di organizzazione di queste brave persone, come diceva Don Ciotti. Quindi la criminalità organizzata è forte perché è organizzata. Ecco, se la parte di popolazione per bene, che è la maggior parte, si organizza, io penso che sarà molto più forte della parte meno buona.
Può essere questo uno scopo, un senso del suo lavoro di sindaco? Quello di provare a organizzare, provare a essere in anche un punto di riferimento per chi non vuole starci?
Organizzare non è compito nostro. Tocca alla società farlo e devono farlo direttamente i cittadini, il movimento deve partire dal basso. Noi quello che possiamo fare è dare l’esempio come istituzioni e soprattutto riportare legalità all’interno delle istituzioni stesse, che molto spesso si sono lasciate permeare dal malaffare. Quindi noi per primi partendo dall’istituzione, partendo dalla politica che ha reagito a queste vicende, possiamo dare l’esempio. Si tratta di impostare un lavoro nel quotidiano secondo quella che è la norma e quella che è la legge. Io credo che dobbiamo fare questo, che poi non dovrebbe essere neanche difficile, dovrebbe essere la normalità, ma nei nostri territori la normalità diventa una cosa difficile da applicare. Noi dobbiamo perseguire questo scopo, continuare nel nostro lavoro e nel nostro impegno così come stiamo facendo. È naturale che tutto questo, questi cambiamenti, possano provocare un po’ di malumore in quelle fasce che non accettano questo tipo di impostazioni. E vorrà dire che se ne dovranno fare una ragione.
Di seguito trovi l’intervista completa.