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Appendino a Radio Popolare: “In piazza con noi chi non si riconosce nel partito della guerra”

chiara appendino intervista

Nella puntata di oggi di Tutto Scorre, Massimo Bacchetta ha intervistato Chiara Appendino, parlamentare del Movimento 5 Stelle, alla vigilia della manifestazione organizzata a Roma dal M5S contro il piano di riarmo europeo.

La prima domanda è semplice: quante persone vi aspettate domani a Roma per la vostra manifestazione? Vi sarete fatti un’idea.

La risposta che stiamo registrando è molto positiva. Ad esempio, dal Piemonte partiranno cinque pullman e da tutta Italia ne arriveranno molti altri. In piazza saranno presenti anche figure note, come Marco Travaglio e il professor Barbero.
Vorrei però sottolineare un punto: credo che quella di domani non sia solamente una piazza del Movimento 5 Stelle, ma un luogo in cui chiunque non si riconosca nel partito “trasversale” della guerra, a prescindere dalla propria storia e appartenenza politica, possa dire che non è giusto riarmarsi fino ai denti, bensì investire le risorse nei servizi ai cittadini. È un momento di schierarsi, perché l’Europa sta prendendo una direzione folle e rischiamo, presto, di non poter più tornare indietro.

Il suo appello mi pare emblematico del momento. Già altri appelli a precedenti manifestazioni erano rivolti a “chiunque” condividesse certe idee. Sembra davvero il segno che in Italia i cosiddetti corpi intermedi hanno perso centralità e, di conseguenza, ci si rivolge direttamente alle singole persone. In ogni caso so che molte associazioni hanno aderito al vostro appello. In Italia, però, ci sono vari livelli da considerare: ad esempio, voi avete invitato anche chi era in quell’altra piazza, quella del 15 marzo, dove voi però non c’eravate. Forse questo aspetto va considerato meglio.

Io ho il massimo rispetto per chi manifesta, indipendentemente dalle idee, perché penso che scendere in piazza per una causa in cui si crede sia un atto politico importante. L’opposizione culturale e sociale parte proprio dalle piazze, dai cancelli delle fabbriche. È lì che si costruisce un’alternativa a Giorgia Meloni, cercando di coinvolgere le tante persone che in questo momento si sentono arrabbiate, ai margini, non rappresentate dalle istituzioni.
Devo però aggiungere una cosa. Io non sono scesa in piazza il 15 marzo perché quella manifestazione era, a mio avviso, piena di ambiguità. Io credo che la politica abbia anche la responsabilità di essere chiara. Noi diciamo che ci rivolgiamo a tutti, ma rivendicando una piattaforma politica esplicita. Non si può essere ambigui se la sanità è allo sfascio, se molte persone non arrivano a fine mese, se c’è un boom di cassa integrazione e le imprese chiudono. In questa situazione, la risposta del governo Meloni è spendere 30 miliardi in più in armi? E l’Europa parla di 800 miliardi di investimenti militari? Questo tra l’altro non è neppure un piano di difesa, ma semplicemente un modo che permette di fatto ai singoli paesi di ingrassare le lobby delle armi.
Noi diciamo chiaramente di no a tutto questo, e invitiamo chi crede in un’altra visione, chi vuol costruire un’alternativa all’Europa e all’Italia a guida Meloni, a scendere in piazza con noi.

Alcuni partiti, presenti nella piazza del 15 marzo, hanno detto di voler partecipare anche alla vostra manifestazione. Quindi per qualcuno non si è trattato di piazze alternative. Parlando però di Europa e di spese militari: in queste settimane si è molto discusso del concetto di “difesa comune”, un concetto rimasto sempre molto ambiguo. Avete visto succedere qualcosa in questo periodo, avete notato qualche cambio di prospettiva, o siamo ancora fermi all’idea che si debbano semplicemente aumentare le spese militari?

Io non noto alcuno spostamento. Si sta portando avanti un’operazione semantica per giustificare una scelta folle, quella di permettere alla Germania (e non solo) di riarmarsi, chiamando il tutto “difesa comune”. È un insulto all’intelligenza dei cittadini.
Io sono favorevole a una difesa comune, ma questa dovrebbe basarsi su strategie condivise e razionalizzare i 350 miliardi che già si spendono in Europa per l’ambito militare. Qui invece stiamo dicendo ai singoli paesi: “Riarmatevi fino ai denti, ciascuno per proprio conto”. È un alibi per continuare a inviare armi all’Ucraina e per alimentare il clima di guerra, che serve solo a giustificare questa corsa agli armamenti. Mi considero europeista, ma voglio un’Europa seduta ai tavoli negoziali, che difenda i nostri interessi e che non lasci fare gli Stati Uniti, o altri attori, al posto nostro. Finora, invece, si è puntato solo sulla strategia della sconfitta militare della Russia, che non ha funzionato e non potrà mai funzionare.

Lei vede la possibilità che prima o poi l’Europa faccia finalmente quel passo, tanto evocato, per diventare un soggetto davvero unitario? O dobbiamo rassegnarci a considerarlo un eterno anelito di alcuni?

In passato ci ho creduto. Ricordo il periodo del Covid, quando ero sindaca: l’Europa sembrava dividersi fra chi voleva andare in ordine sparso e chi invece cercava risposte unitarie. Alla fine, con i vaccini e il PNRR, abbiamo visto un’Europa più solidale e compatta. Purtroppo, quello che vedo oggi è l’esatto contrario: né Macron né von der Leyen, né la stessa Meloni stanno costruendo un’Europa di pace, diplomazia, solidarietà e transizione ecologica. Invece stiamo assistendo a un’Europa che insegue il riarmo. Per questo scendiamo in piazza con le bandiere della pace unite a quelle dell’Europa: noi vogliamo salvare l’Europa e crediamo sia necessario svoltare ora. Altrimenti, con questo piano di riarmo, finiremo solo per disgregare l’Unione, lasciando che ogni paese vada per la propria strada, seguendo i propri interessi e lo “spazio fiscale” di cui dispone.

Sul fronte italiano, secondo lei, la parola “Europa” può essere un terreno comune per l’opposizione, per tenere aperto il dialogo tra tutti voi, o la divergenza di vedute sulla difesa sta già creando troppe spaccature?

Ciascun partito ha le proprie idee, che vanno rispettate. Noi, su questo tema, manteniamo la nostra coerenza e andremo avanti fino in fondo. Se altri vorranno unirsi, sarà un piacere. In generale, fare opposizione significa non solo contrastare le politiche di Giorgia Meloni, ma anche costruire proposte alternative. Abbiamo visto, ad esempio, come sul salario minimo ci siamo uniti anche fuori dal Parlamento. L’opposizione vera non è solo istituzionale, ma è anche culturale e sociale, nelle piazze.

Tradotto dal linguaggio politico: sul salario minimo lei parla di ricerca un terreno comune mentre sulla questione delle armi dice “chi è d’accordo si unisca a noi”, non è la stessa cosa

Beh, d’altra parte è vero che sulla questione delle armi c’è un Europarlamento che proprio 48 ore fa ha detto di aumentare le spese al 3% del PIL: è una follia. Penso a Giorgia Meloni ma anche ad altri – per esempio Gentiloni (Pd, ndr) – che hanno sostenuto il piano di austerità che ha portato tagli da 14 miliardi all’anno. Io penso che la battaglia politica debba essere coerente, che si debbano creare ponti e accordi dove possibile, ma noi non rinunciamo alla nostra identità e alle nostre battaglie per degli accordi politicisti. Sarebbe sbagliato, anche nei confronti dei nostri elettori e di chi crede in noi.

Carlo Calenda ha detto: “L’unico rapporto possibile con il Movimento 5 Stelle è cancellarlo.” Paradossalmente, questa è la conferma della vostra idea che sia utile fare fare chiarezza, nei vari posizionamenti politici?

Onestamente, Calenda cambia spesso idea, quindi non mi sorprende. Io non auguro certo la cancellazione di nessuno; non è un approccio liberale. La nostra risposta a Calenda sarà in piazza domani.

Penultima domanda, non se la prenda ma faccio un passo indietro. In queste ore si parla molto di Trump, della sua visione del mondo, dei suoi rapporti con gli interessi bellici, dell’influenza americana. Riguardando all’atteggiamento del vostro leader Conte, che a suo tempo non prese nette distanze da Trump, pensa sia stato un errore?

Credo sia stato coerente con quanto fatto da Presidente del Consiglio: Conte incontrava il Presidente degli Stati Uniti, qualunque fosse, difendendo gli interessi nazionali. Ricordo che Trump voleva far salire la spesa militare al 4% del PIL, e Conte rispose chiaramente di no, mantenendola all’1,5%. Personalmente, ho sempre dichiarato di aver preferito la candidatura di Kamala Harris, quindi credo che nel Movimento 5 Stelle la collocazione in un’area progressista sia evidente, e non solo a parole. Lo dimostrano le nostre battaglie: il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la transizione ecologica. Essere progressisti è agire concretamente per il benessere dei cittadini.

Lei pensa che l’Europa che abbiamo conosciuto finora sia arrivata a un capolinea?

Non credo che siamo a un capolinea. Siamo però di fronte a una classe dirigente europea — penso a Macron, Meloni, von der Leyen — che ha sbagliato tutto puntando su una vittoria militare contro una potenza nucleare. Anziché ammettere l’errore, si persevera su quella strada. Da qui la nostra necessità di scendere in piazza, perché vogliamo ancora credere in un’Europa diversa. Va detto chiaramente: ogni euro in più destinato alle armi, e quindi alle lobby belliche, è un euro tolto ai cittadini. Occorre schierarsi e dire stop. Non ci si può più nascondere.

Per concludere: quante persone vi aspettate domani, concretamente?

Non lo so, spero tante. Sicuramente più siamo, meglio è. So che da molte regioni c’è grande risposta, ma al di là dei numeri, conta la volontà di muoversi e portare un messaggio politico forte. Sono fiduciosa che sarà una bella piazza, con un significato importante in questo momento.

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