
I segni dell’incendio, a poco più di un’ora dallo spegnimento delle fiamme, dall’esterno sono difficili da individuare. Le tracce dei suoi problemi il Beccaria di Milano se le tiene nascoste dentro, anche se ormai è quasi un anno che, più o meno spesso, affiorano in proteste, materassi che vanno a fuoco, aggressioni. L’ultimo episodio, nel primo pomeriggio del 24 marzo, è partito da un ragazzo che non voleva essere trasferito nell’istituto per minori di Catania. Ufficialmente la sua prossima destinazione doveva essere questa, a più di mille chilometri da dove si trova adesso.
L’incendio è stato appiccato in una sezione del secondo piano, a fuoco sono andati materassi e lenzuola. I vigili del fuoco lo hanno spento in pochi minuti. Almeno cinque le persone visitate dai sanitari: due ragazzi e un medico per aver respirato del fumo, due agenti penitenziari feriti da un lancio di oggetti.
Prima di questo, l’ultimo episodio di protesta era stato poco più di dieci giorni fa, di notte. Quindici ragazzi avevano dato fuoco a dei materassi, anche allora per protesta. Segnali di un disagio che non guarisce e che si è aggravato nell’ultimo anno per tanti fattori. Gli arresti e l’inchiesta per i pestaggi e le torture da parte degli agenti, i problemi strutturali cronici, il sovraffollamento che mai aveva toccato i livelli degli ultimi mesi. All’ultima ispezione dell’associazione Antigone, un mese fa, i ragazzi detenuti nel Beccaria erano 74, quasi il doppio dei 38 posti disponibili. L’effetto peggiore del decreto Caivano, che ha comportato e l’allargamento della platea dei reati per cui i giovani possono finire in carcere. Un provvedimento che il governo ha voluto con forza.