Il governo israeliano punta a vaccinare contro il Covid tutti i suoi cittadini sopra i 16 anni entro fine marzo. In quel periodo, nella migliore delle ipotesi, la somministrazione del vaccino nei territori occupati, Cisgiordania e Gaza, sarà appena cominciata.
Israele è in assoluto il Paese che sta procedendo più rapidamente in tutto il mondo con il programma vaccinale. La campagna è cominciata poco prima di Natale e ormai ha coperto circa il 20% della popolazione.
Numeri impressionanti, anche per noi in Europa. C’è però un contrasto non indifferente se si paragonano questi numeri con la situazione nei territori palestinesi, dove come dicevamo il vaccino non è ancora arrivato.
Ufficialmente tra i cinque milioni di palestinesi che vivono tra Cisgiordania e Gaza ci sono stati 166mila contagi e 1800 decessi. Ma la pandemia sta accelerando. In questo momento ci sono circa 1800 nuovi casi ogni giorno. Il 30% di chi viene testato risulta positivo. In Israele la percentuale è di poco superiore al 7%.
Il governo israeliano ha incluso nel suo piano vaccinale tutti i suoi cittadini, anche quelli arabi, ma non ha considerato la possibilità di garantire la copertura anche per i palestinesi che vivono nei territori occupati. Sulla base del diritto internazionale umanitario, in quanto potenza occupante, sarebbe obbligata a farlo. Secondo i famosi accordi di Oslo – che avrebbero dovuto essere temporanei e che soprattutto non sono mai stati implementati – la sanità è però di competenza dell’Autorità Nazionale Palestinese. Le accuse e le critiche di diverse organizzazioni per i diritti umani, anche israeliane, non hanno fatto cambiare idea al governo Netanyahu. Allo stesso tempo, se non per il personale medico che lavora sulle emergenze, i palestinesi non hanno chiesto il supporto israeliano.
L’ANP confida quindi di cominciare la sua campagna vaccinale ai primi di marzo. Sono stati ordinate circa due milioni di dosi di vaccino ad AstraZeneca – serviranno per un milione di persone – e altre dosi dovrebbero arrivare, sempre a marzo, da una coalizione di organizzazioni umanitarie.
Il grosso delle difficoltà, ovviamente, arriva da un sistema sanitario in crisi ben prima della pandemia, per il blocco israeliano, la crisi economica, e altri problemi interni.
La demografia ha parzialmente ridotto l’impatto del Covid nei territori palestinesi, visto che la popolazione è molto giovane.
Le scelte israeliane sono però emblematiche dell’approccio nei confronti della questione palestinese. Due ultimi esempi. Sono sottoposti a vaccino anche i coloni, gli israeliani che vivono negli insediamenti, illegali per il diritto internazionale, nei territori palestinesi. Niente copertura, invece, per i circa 4400 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.