E’ addivenuto a più miti consigli il presidente del Paraguay, Horacio Cartes, del conservatore Partido Colorado, con la sua dichiarazione di rinuncia a postularsi nel 2018 per un secondo mandato; che avrebbe necessitato di una riforma costituzionale ad hoc.
Ma per dissuaderlo ci sono voluti i violenti scontri del 31 marzo scorso, culminati col parziale incendio del parlamento ad opera di gruppi dell’opposizione liberale, che considerava le aspirazioni di Cartes un abuso di potere.
Resta aperta la discussione nell’assemblea legislativa sulla possibilità a futuro di compiere due mandati di fila. Ma, nel caso passasse, non sarà comunque Cartes il primo presidente a beneficiarne.
Quello della rielezione presidenziale (forzando modifiche costituzionali) si è convertito ormai da tempo in un vero e proprio tormentone in America Latina, che interessa via via capi di stato uscenti sia di destra (come nel caso attuale del Paraguay) che di sinistra.
Riferendosi a quest’ultima, il dilemma riguarda in particolare i Paesi dell’Alleanza Bolivariana (Alba), alla disperata ricerca di successori all’altezza per consolidare i cambiamenti progressisti che, bene o male, sono stati capaci di promuovere in funzione anti-neoliberista.
In Venezuela l’insostituibile fondatore del Socialismo del Siglo XXI, Hugo Chavez, vinse a suo tempo un referendum costituzionale al riguardo; salvo poi morire prematuramente e lasciare orfano un Paese, oggi sprofondato nel caos.
In Nicaragua invece l’ex comandante guerrigliero Daniel Ortega, in un delirio di potere, non è andato tanto per il sottile: con il ridicolo argomento che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani “prevaleva” sulla costituzione nicaraguense (laddove recita che ogni cittadino ha diritto di eleggere ma anche di essere eletto) ha imposto d’autorità la modifica della carta magna per garantire la sua rielezione indefinita. Ed ora è al suo terzo periodo; con sua moglie a fare da vicepresidente.
Per fortuna non è andata così nelle recenti elezioni in Ecuador, dove l’uscente Rafael Correa ha coraggiosamente rinunciato a ripresentarsi (nonostante la costituzione glielo permettesse) propiziando l’elezione, ai primi di questo mese, del suo compagno di partito Lenin Moreno.
Più complessa la situazione in Bolivia. Il presidente Evo Morales (già al suo terzo mandato) ha tentato di cambiare la costituzione ricevendo un no di misura nel referendum popolare dello scorso anno. Ma pare non avere un erede con il suo carisma per il 2019. Per questo sta studiando qualche altro artificio giuridico (o una nuova consultazione nazionale) per ovviare a quel referendum negativo. Col rischio di alienarsi ulteriormente quel consenso maggioritario che aveva dai boliviani.