Se oggi è già piuttosto chiaro chi ha votato per Donald Trump, ci vorranno settimane per “processare” questa svolta a destra degli Stati Uniti e comprenderne la portata.
Per noi Europei nati nel ‘900 il ritorno di Trump alla guida della più grande potenza mondiale, che lo ha già provato per quattro anni, rappresenta un passaggio storico. E per noi di sinistra gli interrogativi si affastellano, quasi fossimo parte della campagna di Kamala Harris che da oggi analizzerà una sconfitta epocale.
Come è’ possibile che venga eletto Presidente uno che dice che Hitler ha fatto cose buone, che vorrebbe mettere gli avversari e i giornalisti davanti a un plotone di esecuzione, che definisce gli immigrati, anche quelli regolari, degli invasori – negli Stati Uniti, un paese fondato sull’immigrazione?
Donald Trump torna alla Casa Bianca con un programma chiaro, preciso, focalizzato come non era nel 2016. E lo metterà in pratica, anche perché si profila una situazione di totale assenza di contrappesi: il Senato è andato ai Repubblicani, la Camera sta per fare la stessa fine, la Corte Suprema negli ultimi anni ha virato a destra, grazie alle nomine dello stesso Trump nel suo primo mandato. Un programma che guarda soprattutto agli affari interni, sì, ma che è già un modello per i leader delle destre di mezzo mondo, come quelle che invitano Elon Musk come una star alle loro feste di partito.
E nell’analisi dei motivi della sconfitta di Kamala Harris, tra l’inflazione, la paura degli immigrati, l’individualismo sfrenato che è sostanza del populismo, si fa strada un interrogativo che non si può eludere: forse gli Stati Uniti non sono pronti per una Presidente donna?
Il ritorno di Trump: un passaggio storico
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Autore articolo
Lorenza Ghidini