“Ho conosciuto Shireen Abu Akleh quando ha cominciato a lavorare per Al Jazeera, diversi anni fa. Questo essere umano, questa donna era oggettiva, equilibrata, onesta, una vera giornalista. Ed è davvero simbolico che sia stata uccisa a Jenin, emblema della resistenza palestinese, così come è significativo il fatto che abbiano cancellato e bandito il mio documentario “Jenin Jenin”. La ragione è la stessa: cercano di dipingerci come quelli che odiano gli ebrei, che vogliono distruggere Israele, che vogliono uccidere ogni ebr eo. Ma questo non è assolutamente vero. Io, Shireen e le persone come noi non abbiamo mai pensato di fare del male a un ebreo solo per il fatto che lo fosse. Noi combattiamo contro l’occupazione“.
Attore, regista e sceneggiatore palestinese con cittadinanza israeliana, Mohammad Bakri è stato per diversi anni una delle figure più apprezzate della cinematografia internazionale. Ma nel 2002, con la pubblicazione del suo film documentario girato nel campo profughi palestinese di Jenin, Bakri è stato coinvolto in una battaglia legale che va avanti da allora, quando venne denunciato per diffamazione diventando uno dei nemici dello Stato di Israele.
“Sono vent’anni che sto affrontando la persecuzione dell’esercito, del governo, dei media e della legge israeliani. Io non ho detto nulla, ho solo messo la telecamera nel campo profughi e ho intervistato le persone che mi hanno detto cosa provavano riguardo all’invasione del 2002. È tutto quello che ho fatto. E quello che ha fatto Shireen è stato andare a Jenin per raccontare la nuova invasione dell’esercito israeliano. Sono orgoglioso di dire che il mio film non è contro gli ebrei o Israele, ma contro l’occupazione perché non è più possibile conviverci, perché sono più di 50 anni che le persone vivono in condizioni disastrose. Quello che è successo al funerale dimostra che queste persone sono criminali, hanno fatto del male alle persone che portavano il corpo di Shireen e tutto il mondo l’ha visto“.
Bakri oggi dovrebbe affrontare l’ennesimo processo, dopo la condanna da parte della corte distrettuale di Lod del gennaio 2021, che aveva stabilito il divieto di proiettare e distribuire in Israele “Jenin Jenin” e il sequestro di tutte le copie del film.
In quell’occasione il regista era stato anche condannato a risarcire con 175mila shekel (circa 55mila dollari) il tenente colonnello israeliano Nissim Magnagi che per pochi secondi appare nel documentario, in immagini di archivio, durante l’assedio dell’aprile 2002.
Di fronte all’omicidio di Shireen Abu Akleh e alle immagini delle violenze durante il suo funerale che hanno fatto il giro del mondo, Mohammad Bakri non può accettare che le cose restino immutate in un Paese dove due popoli, ormai da decenni, non sanno più cosa sia la pace.
“Penso che il mondo adesso, dopo quello che è successo, debba vedere la verità, debba vedere che stanno cercando di chiudere la bocca delle persone che raccontano la storia dei palestinesi in modo oggettivo. Spero che il mondo apra gli occhi e veda la terribile realtà dell’occupazione. Perché Shireen Abu Akleh è stata uccisa? Perché? Perché ha mostrato il vero volto dell’occupazione, non ci sono altre ragioni. Non so cosa succederà ora ma mi auguro che questo sia l’ultimo omicidio“.
di Eleonora Panseri