Nella vasta categoria dei “grandi romanzi infilmabili” rientrano molto spesso fondamentali saghe fantascientifiche o fantasy. È quasi naturale: la pagina scritta consente ad autori e autrici la libertà assoluta dell’immaginazione, sia che scelgano di inventarsi mondi vastissimi e complessi, sia che provino a fare quelli che Ursula K. LeGuin chiamava “esperimenti di pensiero”, in cui capovolgere la realtà per metterla alla prova. L’inventiva di sceneggiatori e cineasti, però, non si è data per vinta, e ha accettato più volte la sfida dell’”infilmabilità”, sempre di più negli ultimi decenni, quando lo sviluppo degli effetti speciali ha aiutato a dar vita anche sullo schermo a cose che noi umani non avevamo mai visto prima: pensiamo alla trilogia cinematografica di Il signore degli anelli, l’adattamento che Peter Jackson ha tratto dal caposaldo fantasy di Tolkien, che con il suo successo ha trasformato l’industria dei blockbuster hollywoodiani. Anche l’opera tolkieniana era stata a lungo ritenuta infilmabile, almeno in live action, e lo stesso si è detto a lungo di un’altra saga fantasy chiaramente debitrice – come tutto il genere – di Il signore degli anelli, cioè le Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin. Nonostante Martin l’abbia scritta proprio con lo scopo di contravvenire a ogni regola della sceneggiatura televisiva, la saga è diventata Il trono di spade, uno dei più grandi successi del piccolo schermo di tutti i tempi. Il merito è sicuramente di David Benioff e D.B. Weiss, la coppia di sceneggiatori che si è incaricata della trasposizione per HBO dei romanzi di Martin e che, soprattutto nelle prime stagioni, è riuscita a illustrare efficacemente, anche per un pubblico di non adepti, il complesso mondo di Westeros, gli intrighi tra diverse casate, i giochi di potere, il folklore, le religioni, la storia di quel mondo, le grandi battaglie, etc. Il finale di Il trono di spade, giunto dopo alcune stagioni durante le quali Benioff e Weiss non avevano più i libri di Martin da seguire come traccia (la saga letteraria è ancora in attesa dell’uscita degli ultimi volumi), non ha soddisfatto tutti, per usare un eufemismo. Eppure Benioff e Weiss non si sono lasciati scoraggiare, e anzi si sono gettati con entusiasmo nell’adattamento seriale di un’altra saga letteraria ritenuta – forse perfino di più di quella di Martin – infilmabile, come recentemente anche Dune e Fondazione. La prima stagione di Il problema dei 3 corpi è stata resa disponibile qualche giorno fa su Netflix ed è tratta dall’omonimo primo libro della saga fantascientifica Memoria del passato della Terra dello scrittore cinese Liu Cixin.
Pubblicato in Cina prima a puntate nel 2006 e poi in volume unico nel 2008, è stato uno dei più grandi casi editoriali del paese, ma in Occidente è arrivato solo nel 2014, in traduzione inglese, negli Stati Uniti; anche qui, però, il successo è stato travolgente, e il libro è il primo titolo asiatico ad aver vinto il premio Hugo (è stato candidato anche al premio Nebula: si tratta dei più importanti riconoscimenti per la fantascienza). In Italia il libro è uscito nel 2017, per Mondadori, e nel frattempo è diventato già un romanzo di culto per gli appassionati di sci-fi, oltre ad aver guidato la fertilissima onda della fantascienza letteraria cinese che sempre più spesso ora spunta tra gli scaffali delle nostre librerie (ma anche sugli schermi: sempre su Netflix trovate il blockbuster The Wandering Earth, tra i maggiori incassi di sempre in Cina – e dunque nel mondo).
La trama di Il problema dei 3 corpi non è semplice da raccontare, anche perché parte del piacere della lettura (e della visione della serie) sta proprio nel dipanare i suoi misteri: diciamo solo che comprende un incontro tra i terrestri e una civiltà aliena, che si distende su un grande lasso di tempo e che in parte si svolge all’interno di un “gioco” in realtà virtuale. David Benioff e D.B. Weiss, insieme allo sceneggiatore di True Blood Alexander Woo, hanno lavorato per trasformare questa materia complicata, densa e molto astratta in una serie in grado di coinvolgere qualsiasi tipo di pubblico, soprattutto quello che magari in passato ha apprezzato serie “da decifrare” come X Files, Lost e Fringe.
Pur conservando diversi personaggi cinesi, e parte dell’ambientazione durante la Rivoluzione culturale, Il problema dei 3 corpi ha un cast internazionale, e una puntata dopo l’altra fa emergere possibili collegamenti tra l’impalcatura narrativa fantascientifica da “primo contatto” e temi cruciali dell’attualità, come l’emergenza climatica e l’insorgere dei fanatismi. Gli autori sono riusciti ancora una volta a filmare l’infilmabile? La risposta agli spettatori.